Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 180
- È quella demonia nera, la serva del dottore: ha una bottiglia..., - disse il ragazzo sottovoce, avvicinandosi in punta di piedi al letto.
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E sconvolgeva tutto, flagellando le pietre, le macchie, i fili d'erba più umili e innocenti: travolgeva ogni cosa nella sua collera suprema, e pareva che le grandi nuvole nere e gonfie come otri immensi fuggissero sul cielo verdognolo della sera spaventate dall'ira del vento, andando a vuotarsi dietro i boschi dell'altipiano.
p. 181
A volte la sua voce era lontana e supplichevole: voce che implorava, che narrava una storia triste e domandava pietà, aiuto, conforto: nessuno l'ascoltava e allora la voce si avvicinava, diventava ardita, ripeteva la stessa storia, ma con accenti gagliardi, e domandava giustizia: nessuno rispondeva, nella sera verdastra che copriva di veli lividi il misterioso paesaggio: e per un attimo la voce taceva, come sbalordita che al mondo non esistesse più giustizia né pietà; ma dopo qualche momento di silenzio profondo si levava un urlo di minaccia, seguito da lunghi gridi di vendetta, da fischi diabolici, da risate clamorose.
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La collera che i curiosi gli destavano, l'urlo del vento, la nenia funebre della matrigna, le parole pungenti del dottore, la visione di Columba sulla porta, l'attesa, il ricordo, tutto era segno di vita, luce lontana che illuminava ancora l'abisso nero entro cui egli si sentiva disteso con le membra rotte come uno che è caduto dall'alto.
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Dal ciglione arrivava il profumo del timo e qualche grido d'uccello vibrava nel silenzio insolito della valle.