Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 167
Dal suo giaciglio il malato vide il vano del finestrino coprirsi come d'una lastra di cristallo verde e una stella, Venere, grande, senza raggi, luminosa come una piccola luna, brillarvi a lungo e tramontare dietro la linea dello sportello.
p. 168
Il dottore sembrava un uomo del Nord, alto e grosso, vestito di un lungo soprabito di orbace con manichini e collo di volpe: un berretto della stessa pelliccia calato fin sulle orecchie confondeva i suoi peli con quelli di una gran barba rossiccia. Due occhietti verdazzurri, or limpidi e infantili, or foschi e minacciosi, brillavano fra tutto quel pelame rossastro come due lucciole in mezzo ad una siepaglia secca. Dopo aver battuto qua e là il bastone come per assicurarsi che il terreno era fermo, egli spinse col piede lo sgabello, vi si sedette pesantemente, e muovendo le grosse labbra rosse come se ruminasse allungò la mano pelosa per tastare il polso del malato.
p. 169
Giorgio raccontò, attenuando le sue espressioni di collera per non farsi sentire dal servetto i cui occhi, nella penombra, sembravano quelli di un gatto in attesa del topo.
p. 170
- Alla tua età ero mingherlino come te, ero stupido come te. Come te immaginavo che i mulini a vento fossero castelli. La semenza dei Don Chisciotte non si perde mai, ottimo amico. Ma un giorno mi accorsi che io avevo dentro di me uno spiritello indemoniato: bisognava combattere e strozzare quello lì, non i nemici che non esistono. Siamo noi i nostri nemici, carissimo Jorgeddu; siamo noi che ci diamo fastidio e ci secchiamo notte e giorno. Allora: «aspetta», dissi fra me, «ora t'aggiusto io, ottimo Don Chisciotte». E rincorsi e chiamai il mio spiritello, come mia madre faceva coi suoi polli quando voleva strozzarli; giusto così feci anch'io col mio spiritello.
p. 170
Tu sai cosa vuol dire vincere in questo paese: altro che Don Chisciotte ci vuole, ci vuole Napoleone.