Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 165
Da bambino sono stato perseguitato, maltrattato, calpestato; anche mio padre mi tradiva... ed io mi ostinavo a credere ancora alla bontà del prossimo... Ero ambizioso, sì, lo confesso, sì, volevo innalzarmi al di sopra degli altri, ma senza macchiarmi... Il mio guaio è stato questo, perché il colombo non può vivere in mezzo agli sparvieri. Ed essi mi hanno dilaniato il petto...
p. 165
Abbassò le palpebre violacee e parve addormentarsi; ma la sua fronte era lucente di sudore e un tremito gli agitava di tratto in tratto la mano.
p. 166
Lo dica pure ai miei nemici; io sono tornato per dar loro lo spettacolo della mia miseria. Se questo può destare nel loro cuore un palpito di pietà, se essi, nel loro intimo, possono dire a loro stessi: "noi siamo ingiusti, bisogna ravvederci!..." ebbene, prete Defraja, la mia sventura non sarà stata inutile, ed io benedirò il Signore che per mezzo del mio affanno ha ancora una volta toccato il cuore dell'uomo.
p. 167
Per calmarsi riprese il libriccino dei Salmi e i suoi occhi corsero a caso sui versetti, come l'ape va qua e là sopra i fiori che crede più dolci.
pp. 167-168
Fra poco viene il dottore. L'ho incontrato che trottava col suo bastone e lo batteva sulle pietre: sogghignava come un diavolo e mi domandò: «Non è ancora morto il tuo padrone? Ebbe', la visita del prete non lo ha ammazzato?». Io gli risposi: «Non so neppure se il prete sia venuto; spero di sì, perché volevo chiedergli un sonette». E lui disse sogghignando: «Ah, sì, un sonette? e perché non ti suoni la pelle della pancia, tanto è vuota?». E io replicai: «Se la suoni lei!»