Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
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Tutto il santo giorno gli uomini giuocavano alla morra come fanciulli, e i vecchi tacevano, seduti all'orientale sopra la pietra delle panchine, immobili e già morti prima di aver chiuso per sempre gli occhi.
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E la chiesa con la sua torre di pietra, l'abside e la facciata corrose qua e là coperte di edere e gramigne, pareva su quello sfondo grandioso un avanzo di castello abbandonato.
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Il rigagnolo d'acqua che scorreva giù per la strada era coperto da un velo di ghiaccio, e dai tetti delle casette basse fumiganti pendevano ghiacciuoli enormi simili a stalattiti; qualche rimasuglio di neve scintillava qua e là sugli embrici nerastri e negli angoli ove non batteva il sole, e in ogni sfondo di straducola apparivano le montagne lontane, bianche e nere fra la nebbia che svaniva.
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Finita la messa la vecchia aspettò che tutti se ne andassero e fece in modo d'incontrarsi sotto l'arcata della porta col sacerdote che usciva frettoloso, stretto in un gran tabarro, con le mani dentro le maniche e il viso bianco e lentigginoso d'albino seminascosto da una sciarpa nera.
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Egli tremava visibilmente di freddo e i suoi piccoli occhi grigi velati da lunghe ciglia bianche erano umidi di lagrime.