Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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- A che ora è morta? - chiese Anania, rivolgendosi anch'egli al paesano, i cui occhi neri rotondi come due buchi lo suggestionavano stranamente.
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Zia Grathia apparve subito sulla porticina, con un lume in mano: era più cadaverica del solito, con gli occhietti rossi affondati in un gran cerchio livido.
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Il suo arrivo davanti alla casa della vedova richiamò ai finestrini, alle porticine, ai poggiuoli di legno delle casette attigue, molte teste curiose. Dovevano aspettarlo: un bisbiglìo misterioso sorse intorno, ed egli se ne sentì come avvolto, e gli parve che una rete pesante lo stringesse tutto e lo attirasse giù, in un abisso di tenebre.
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Una benda coperta di macchie già secche di sangue nerastro fasciava il collo, passava sotto il mento e sulle orecchie e si annodava tra i folti capelli neri della morta; in questo cerchio tragico il viso di lei si disegnava grigiastro, con la bocca ancora contorta per lo spasimo: attraverso le grandi palpebre socchiuse si scorgeva la linea vitrea degli occhi.
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- Era giovane ancora! - disse Anania, calmandosi alquanto e fissando i capelli neri della morta. - No, non ho paura, zia Grathia, aspettate, restate un momento. Quanti anni aveva? Trentotto? Ditemi, - chiese poi, - a che ora è morta? Come ha fatto? Raccontatemi tutto. È stato qui il pretore?- Andiamo; ti dirò tutto, vieni, - ripeteva zia Grathia, dirigendosi verso l'uscio.
Ma egli non si mosse: guardava sempre i capelli della morta, meravigliandosi che fossero così neri ed abbondanti, ed avrebbe voluto ricoprirli col lenzuolo, ma provava una strana paura ad avvicinarsi nuovamente al cadavere.