Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 404
Le ombre si muovono fantastiche sull'erba calpestata e sui muri della chiesa; brillano i bottoni d'oro, i galloni argentei dei costumi, i tasti della fisarmonica: il resto si perde nella penombra perlacea della notte lunare.
p. 405
- E don Zame, missignoria? Era l'anima della festa. Gridava, spesso, sembrava la burrasca, ma in fondo era buono. L'arcobaleno c'è sempre, dietro la tempesta. Ah, sì, proprio in questi giorni, quando sto seduta giù a filare, mi sembra di sentire un passo di cavallo... Eccolo, è lui che va alla festa, sul suo cavallo nero, con le bisaccie piene...
p. 405
- E la casa, missignoria? Per quanto povera, una casa non deve esser mai abbandonata del tutto: altrimenti ci si installa il folletto. I vecchi rimangono, i giovani vanno!
p. 405
- Di questi giorni mi par di rivedere tutti i morti risuscitati. Tutti andavano a divertirsi, laggiù. Mi sembra di rivedere la madre di vossignoria, donna Maria Cristina, seduta sulla panca all'angolo del grande cortile. Sembrava una regina, con la gonna gialla e lo scialle nero ricamato. E le donne di tanti paesi le stavano sedute intorno come serve... Essa mi diceva: «Pottoi, vieni, assaggia questo caffè; cosa ti pare, è buono?» - Sì, così umile era. Ah, per questo non amo neppure tornare laggiù; mi pare che ci ho lasciato qualche cosa e che non la ritroverei più...
p. 406
A misura che l'ombra calda della casa copriva il cortile e l'odore dell'euforbia arrivava dalla pianura, ricordava più intensamente la fuga di Lia.