Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 178
Ella era avida del caffè, come quasi tutte le donnicciuole sarde, ed Anania, che aveva un po' ereditato questa passione, la guardava e la studiava, ridiventato perfettamente cosciente; e gli pareva di scorgere una bestia selvatica e timida, una lepre rosicchiante l'uva nella vigna, trepida per il piacere del pasto e per la paura di venir sorpresa.
p. 179
laquo;Bisognerà subito farle una veste: è veramente lurida. Ho ancora sessanta lire delle lezioni date a Nuoro: ho fatto bene a fare quelle ripetizioni... Ne troverò anche altre. Venderò anche i libri... Sì, occorre subito vestirla e calzarla... Avrà anche fame...»
p. 179
Le sue labbra tremavano, qualche singhiozzo le gonfiava ancora il petto, i suoi occhi arrossati e cerchiati, enormi nel viso piccolo, sfuggivano lo sguardo freddo di Anania.
p. 180
Anania tacque, e continuò a camminare su e giù per la cucina: il vento sibilava incessantemente intorno alla casetta; dalle fessure del tetto piovevano alcune striscie di sole che disegnavano fantastiche monete d'oro sul pavimento nero.
p. 180
Ella trasse una carta gialliccia, macchiata d'olio e di sudore, mentre Anania ripensava amaramente alle ricerche e alle indagini fatte per scoprire se Maria Obinu possedeva carte rivelatrici.