Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 168
Si guardarono; entrambi reciprocamente sdegnati e pietosi. Allora cominciarono a discutere e quasi a litigare. Anania voleva partire subito, o al più tardi la mattina dopo; la vedova proponeva di far venire Olì a Fonni senza dirle il perché.
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- Ed allora facciamola venir qui: ma subito, domani mattina.
- Sì, subito, sulle ali d'un corvo! Come sei impaziente, figlio delle mie viscere!
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Anche nella stanzetta ove egli aveva dormito con sua madre nulla era cambiato; vedendo il misero giaciglio, sotto cui c'era un mucchio di patate ancora odoranti di terra, egli ricordò il lettino di Maria Obinu e le illusioni ed i sogni che lo avevano per tanto tempo perseguitato.
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Ad Anania, che vedeva quasi ai suoi piedi le valli profonde, pareva di star sospeso sopra un abisso: e mentre le linee delle montagne lontane gli destavano in cuore una dolcezza strana, e gli davan l'idea di versi immensi scritti dalla mano onnipotente d'un divino poeta sulla pagina celeste dell'orizzonte, il vicino colosso nero-turchiniccio di Monte Spada, protetto dalla formidabile muraglia del Gennargentu, lo opprimeva, gli sembrava l'ombra del mostro al quale poco prima aveva lanciato la sua sfida.
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Anania credeva di camminare fra le nuvole, sentiva qualche volta il senso del vuoto, e per vincere la vertigine doveva guardare intensamente il sentiero, sotto i piedi del cavallo, fissando le lastre umide e lucenti dello schisto e i piccoli cespugli violetti del serpillo la cui acuta fragranza profumava la nebbia.