Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 404
Noemi stava sempre sul belvedere, tra gli avanzi del banchetto; intorno a lei scintillavano le bottiglie vuote, i piatti rotti, qualche mela d'un verde ghiacciato, un vassoio e un cucchiaino dimenticati; anche le stelle oscillavano sopra il cortile come scosse dal ritmo della danza.
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Tutti gli anni la primavera le dava questo senso d'inquietudine: i sogni della vita rifiorivano in lei, come le rose fra le pietre dell'antico cimitero;[...]
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Tutti gli anni la primavera le dava questo senso d'inquietudine: i sogni della vita rifiorivano in lei,
come le rose fra le pietre dell'antico cimitero; ma ella capiva che era un periodo di crisi, un po' di
debolezza destinata a cessare coi primi calori estivi, e lasciava che la sua fantasia viaggiasse, spinta
dalla stessa calma sonnolenta che stagnava attorno, sul cortile rosso di papaveri, sul Monte
ombreggiato dal passaggio di qualche nuvola, sull'intero villaggio metà dei cui abitanti era alla
festa.
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Noemi ricordava di non aver mai preso parte diretta alla festa, mentre le sorelle maggiori ridevano e si divertivano, e Lia accovacciata come una lepre in un angolo erboso del cortile forse fin da quel tempo meditava la fuga.
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La fisarmonica riempie coi suoi gridi lamentosi il cortile illuminato da un fuoco d'alaterni il cui chiarore rossastro fa
spiccare sul grigio del muro la figura svelta e bruna del suonatore, i visi violacei delle donne e dei ragazzi che ballano il ballo sardo. Le ombre si muovono fantastiche sull'erba calpestata e sui muri della chiesa; brillano i bottoni d'oro, i galloni argentei dei costumi, i tasti della fisarmonica: il resto si perde nella penombra perlacea della notte lunare.