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Ristampata la “Historia general” di de Vico: fantasie e trionfalismi in salsa patriottica
Era proprio un belvedere la Sardegna descritta da Francisco de Vico nel 1639. Ricca, autosufficiente e salubre. La peste era solo un equivoco. Si trattava al massimo di malaria. Insomma, una terra che no necesita de nada. Lo scenario era apologetico, frequentato da un popolo senza macchia, ostile all'eresia e valoroso in battaglia. Scenario tanto straordinario quanto falso. Inutile dire che povertà ed epidemia erano disgrazie piuttosto assidue per i sardi dell'epoca. Ma Vico, citando Tirso de Molina, si sforzava di spiegare e dimostrare che "nell'abbondanza, nel clima benevolo, nella bontà dell'aria, nella fertilità dei frutti e nella salubrità delle acque", la Sardegna può competere con le migliori province d'Europa. Che "il proprio valore e inclinazione alle armi, la Sardegna li scoprì connaturati alle sue origini". E che chiunque tentò di conquistarla dovette arrendersi dinanzi al valor de sus defensores.

La ricostruzione di questo "sepulcro de Héroes" con annessa sfilza di congetture si ritrova nelle pagine dell'Historia general de la Isla y Reyno Sardeña, monumentale opera del giurista sassarese, regente nel Supremo consiglio d'Aragona, Francisco de Vico, ristampata dalla Cuec 366 anni dopo la prima edizione. Ma anche prodotto esemplare della cultura spagnola seicentesca, prezioso per ricostruire il sentimento di patriottismo in salsa sarda dominante in quegli anni. Pasquale Tola, nel suo Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna del 1838, scrive: "Lo stile dell'opera è puro ed elegante, ma non ha vigore. Il Vico manca altresì di critica, e non esamina con bastante sagacità i monumenti che gli servono d'autorità". Poi affonda: "Quindi cade in molti errori, e spesse volte travolge i fatti, e riferisce come vere cose che non hanno altro fondamento fuorché l'incerta e popolare tradizione, o la testimonianza di autori poco sinceri e di carte manifestamente viziate". I sette volumi coincidono con le sette partizioni originali dello scritto. Sono interamente in castigliano, introdotti e curati dallo storico dell'Università di Sassari Francesco Manconi e pubblicati in una collana del Centro di studi filologici sardi. Degni di nota gli indici dei nomi e dei luoghi. Più di 200 pagine frutto della pazienza di Tiziana Deonette, Gisa Dessì, Raffaella Lai e Antonello Murtas. L'attualizzazione del testo antico è della lettrice Marta Galiñanes Gallén, il prezzo da veri collezionisti: 130 euro.
L'intento prioritario del Vico è quello di immergersi nell'aspra contesa municipalistica tra Capo di sotto e Capo di sopra, schierandosi a favore della sua Sassari. In preda a una vigorosa esasperazione patriottica, non importa se le argomentazioni utilizzate nella disputa sono campate per aria. Se l'uso delle fonti è piuttosto disinvolto. Se il sentimento localista prende il sopravvento. Tutte le energie sono profuse per contrastare l'egemonia politica ed economica di Cagliari. E, naturalmente, per riconoscere il primato ecclesiastico turritano da brandire come insuperabile patente di purezza. Ed ecco che Torres diventa la più antica città della Sardegna. Fondata da Ercole Libico nell'anno 2216 dalla creazione del mondo, fu la prima colonia romana famosa por grandezza, riqueza, puesto, y rìo. Seconda in classifica non poteva che essere Sácer, Tatari, fondata dai Tartari nel 2790. Norax è solo al terzo posto e Cáller niente di meno che al settimo perché a porvi la prima pietra sarebbe stato il re Aristeo intorno al 3450 o i Cartaginesi nel 3776. Ma tornando ai santi, Vico consegna all'isola una tale gloria da non temere rivali: "In nessuna parte della cristianità esiste una terra tanto piccola e con tante dignità ecclesiastiche". Le sue strade sono state magnificate persino dagli apostoli: la Sardegna si dissetò "nelle fonti originali della prima emanazione di Dio al mondo por los Apóstoles". E il Signore le diede talmente tanta luce evangelica che l'isola non alterò mai la sua primera pureza.
Il primato cronologico sacro ancora una volta ricorre al nord. I santi Gavino, Proto e Gianuario, icone della chiesa sassarese, sono ben più datati del martire sulcitano Antiogo. In più, un'onta indelebile pesa sulla rivale del sud. Cagliari sarebbe stata contaminata dal passaggio degli arabi. Una gravissima ferita che opacizza la presunta antichità cristiana della capitale. I trascorsi musulmani sono un timbro che non si cancella. Salvo poi che i pisani con l'aiuto, ovviamente, dei sassaresi, riconquistino alla cristianità la città infedele cacciando i mori. Con Vico si assiste ad un uso politico della storia ante litteram. Nella sua confezione barocca, l'Historia general è una fedele trasposizione letteraria delle passioni ideologiche che dilagavano nella società sarda ispanica. La guerra tra campanili senza esclusione di colpi. Le ricostruzioni di antichi splendori cristiani, genealogie vertiginose, battaglie valorose, erano materiale di uso quotidiano per sostenere l'eccellenza della propria città.
Ancora Tola: "Dominato il Vico da stemperato amore per la sua terra natale, tanto pose di studio nel magnificarne le glorie, tanto meno curossi di esaltare il nome delle terre rivali: ché questo veramente fu in tal rispetto il suo peccare, non quello che falsamente gli si appone da alcuni, di aver mentito con arte, o di avere con deliberato animo corrotto la santità del vero". Ma il biografo sassarese al peccato fa seguire una mezza assoluzione: "A sua discolpa bisogna pur dire che visse in tempi, nei quali questa perniciosa scabie di municipalità era troppo radicata nell'isola; che la violazione dei diritti altrui, la superbia dell'imperatore, e l'arte stessa del governo spagnuolo fomentava il malnato fuoco delle interne divisioni".
Vico era certamente consapevole del suo ruolo di cantore delle lodi turritane al punto che orchestra per la sua patria una millenaria tradizione di gesta ed eroi. Arriva a sostenere lo sbarco di Ercole con il popolo dei tirreni nell'amata provincia. D'altro canto, non si può tralasciare la viva animosità cagliaritana nel raccontare i propri santi. Dionisio Bonfant, teologo ed esponente del Consiglio generale della città, nel 1635 scrive: Triumpho de los Santos del Reyno de Cerdeña. Anche Bonfant si inventa strabilianti avventure cristiane come l'arrivo a Cagliari degli apostoli Pietro e Paolo. Ma il cuore del Triumpho è la difesa della santità dell'arcivescovo Lucifero, negata negli Annales ecclesiastici dal cardinale Cesare Baronio.
In un simile clima i gruppi dirigenti cagliaritani dichiarano guerra a Vico. La politica filosassarese del regente può minacciare gli interessi della capitale. L'accusa all'esponente del Supremo consiglio è di essersi arricchito attraverso la vendita di privilegi e la gestione di un'ampia rete clientelare. Si vuole screditare Vico. Alle bordate dei rappresentanti cittadini si aggiunge un altro grattacapo per il sassarese. Giovanni Andrea Simone Contini, in arte Salvador Vidal, francescano, tenta di smontare pezzo per pezzo la Historia general. La focosa polemica non può che sbarcare alla corte di Madrid. Nel 1644 il síndico di Cagliari Salvador Martín ricusa Vico chiedendone l'allontanamento dal Consiglio d'Aragona. Il ministro si difende e il Consiglio supremo non decide di estrometterlo. Ma la carriera dell'autore dell'Historia general ha ormai imboccato la parabola discendente. Dopo la sua morte, scrive Tola, si spensero le passioni e la verità soffocò l'invidia.

Walter Falgio

 
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