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Deledda: i sogni di gloria di una futura Nobel
In un baule della Biblioteca Nazionale di Firenze le lettere “segrete” della scrittrice ad Angelo De Gubernatis

Ad oltre settanta anni dalla sua morte Grazia Deledda continua ad emozionarci. Per certi versi negletta e dimenticata (si studia ancora a scuola?) in altre circostanze è ancora viva e stimolante: su di lei si sono svolti recentemente – in occasione dell’ottantesimo anniversario del Nobel – svariati convegni e non solo nella sua isola natale. Ed è una coincidenza del tutto particolare il fatto che proprio in prossimità di questa ricorrenza i magazzini dei manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ci abbiano riservato un’interessante sorpresa, anzi una emozionante scoperta. Sono state rinvenute infatti delle lettere delle quali si ignorava l’esistenza e dunque inedite. Queste missive fanno parte di un carteggio donato alla Biblioteca nei primissimi anni del Novecento, riservato e vincolato dal destinatario – il letterato poligrafo ed orientalista Angelo De Gubernatis – per almeno cinquanta anni dalla sua morte. Mentre il carteggio De Gubernatis “ufficiale” è da anni liberamente catalogato e consultabile in biblioteca, questa sezione separata, “privata”, era stata lasciata in disparte per adempiere al volere dell’autore. Finalmente alcuni anni fa è stato aperto il baule di legno che conteneva la parte riservata e sono tornate alla luce le numerosissime lettere che il De Gubernatis aveva ricevuto dalle donne con le quali egli intrattenne un rapporto particolare, intimo e spesso amoroso. Tra queste carte si sono trovate anche novantanove lettere – fino ad oggi sconosciute – scritte da Grazia Deledda. Fra i due vi fu un singolare rapporto di amicizia, piuttosto un contatto immateriale. Ne scaturì uno scambio epistolare assai affettuoso, ma che non oltrepassò i limiti del lecito, come ci avverte lo stesso De Gubernatis: “delirai da lontano, senza conoscerla, poeticamente, con una fanciulla, Grazia Deledda, di cui sono poi divenuto compare impeccabile”. Il carteggio era raccolto in diversi pacchetti, ciascuno dei quali contenuto in più grosse buste, ormai ingiallite, chiuse con spago e sigillate con ceralacca. Le lettere erano solitamente ripiegate più volte, chiuse l’una dentro l’altra, quasi a formare dei piccoli plichi. Questo singolare modo di custodirle ci fa supporre che il De Gubernatis le considerasse troppo compromettenti per poterle conservare liberamente e ci lascia indovinare il suo desiderio di trasformarle in qualcosa di inconsistente, di invisibile agli occhi dei familiari o di persone indiscrete.

In effetti si conoscono già altre lettere della Deledda al De Gubernatis (sono state pubblicate nel 1966), ma si tratta di messaggi di carattere diverso: fanno parte del Fondo De Gubernatis “ufficiale” al quale si è accennato sopra. Le novantanove lettere ora rinvenute, invece, sono confidenziali, private, intime. Esse abbracciano l’arco di tempo compreso tra il 1894 e i primi mesi del 1899 e colmano perfettamente la lacuna finora esistente nell’altro gruppo di missive di carattere pubblico, formale. La Deledda, infatti, era entrata in contatto epistolare col De Gubernatis già dal 1892, ma le lettere precedenti si interrompevano proprio al 1894 per continuare poi, eccetto sporadici e brevi messaggi, dopo un salto di alcuni anni con lettere puramente formali. Non si spiegava così questa “quasi interruzione” dello scambio epistolare tra i due. I contenuti ed il tono delle ultime lettere finora conosciute non lasciavano certo presagire che tra i due sarebbe sceso il silenzio e mal si giustificava questo cambiamento di modi. Mancava un nesso, qualcosa che facesse combinare il senso delle parole affettuose del 1894 con il lungo vuoto, seguito poi dai rari messaggi formali e di mera comunicazione di circa due anni dopo. Il motivo, adesso lo sappiamo, stava appunto nel fatto che, come per altre corrispondenti, De Gubernatis aveva separato le lettere ufficiali da quelle più intime e riservate. Il contatto tra i due dunque, lungi dall’essere interrotto, al contrario continuò ancora più fitto, confidenziale, intimo.

Finora dunque si ignorava il fatto che l’epistolario della Deledda al De Gubernatis fosse “mutilato” di una sua parte, forse quella di maggiore importanza per conoscere l’aspetto profondo, più autentico della scrittrice in anni fondamentali per la sua formazione culturale. Come infatti lei stessa afferma, è in queste lettere che ella si apre di più e svela la parte più intima della sua persona, l’aspetto più vero, sincero e spontaneo. In questi “foglietti” – così lei li definisce – dalla grafia minuta, ordinata e regolare, chiara (nonostante lei affermi “i miei caratteri, piccoli, sottili, nervosi e talvolta illeggibili come me”) ella si offre col cuore aperto, con semplicità, e proprio la mancanza di formalità esteriori ce li rendono ancora più preziosi. La giovane autrice parla della sua vita quotidiana, descrive lo scorrere lento delle sue ore, delle sue occupazioni giornaliere, trasmettendo quasi un’immagine di sé visiva, sì che talvolta sembra davvero di vederla nella sua stanza a scrivere al lume di candela e ci riesce facile immaginarla mentre si muove nella casa paterna o nell’orto, tra i suoi fiori, come scriveva in una lettera del giugno 1898: “Sebbene i giornali del continente mi chiamino signora e illustre donna, sono ancora una esile giovinetta e ho ancora tanti sogni. I giorni scorrono sereni e puri in questa patriarcale solitudine: io studio e lavoro, lavoro e studio. Di sera erro a lungo fra le rose e i gigli – alti come me, – del piccolo orto…”.

In queste lettere si trovano i racconti di vicende e fatti personali, analisi introspettive, pensieri, sentimenti, passioni, dolori e inquietudini, ma anche la descrizione dei paesaggi, degli ambienti, delle persone. Esse tratteggiano il ritratto della giovinetta timida ma decisa, talvolta paurosa e insicura, ma anche consapevole delle proprie potenzialità ed animata dalla fiduciosa speranza di un futuro diverso da quello prospettato dai ristretti ambiti sociali e geografici di appartenenza.

Alcuni passi poi sembrano quasi preveggenti, nella consapevolezza delle proprie potenzialità: “io ora sono piccola, sono umile e oscura, ma la voce potente della mia volontà mi dice che anch'io un giorno potrò esser grande…”. E poco dopo: “farò qualche cosa di buono e di forte […] Voglio scrivere il romanzo che tu stesso un giorno mi hai consigliato, che sia l'epopea e la storia, il quadro e il monumento del popolo sardo. Ci starò due, tre, cinque anni, poco importa; ma voglio fare qualche cosa di grande, di grande, di grande”.

Da questi pur brevi stralci risulta evidente l’importanza ed il valore di queste lettere. Insieme alle altre già conosciute alle quali si intrecciano – sono in tutto 170 – vengono ora pubblicate, a cura di chi scrive, tramite il Centro di Studi Filologici Sardi e la CUEC di Cagliari, nel volume dal titolo Lettere ad Angelo De Gubernatis (1892-1909). L’aspirazione è quella di “svelare” un mondo di sentimenti, di curiosità, di interessi culturali, sì che il lettore abbia modo di osservare aspetti finora sconosciuti della personalità deleddiana relativi ad un periodo fondamentale per la formazione della scrittrice e per le sue prime prove narrative.

Roberta Masini

 
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