Le parole sono semi, le etimologie radici; nel giardino della scrittura, poetica o in prosa, si trova sempre un luogo deputato ad accogliere i neologismi, le nuove creazioni e gli esperimenti, perciò possiamo definire quasi un semenzaio il manoscritto rilegato con filo bianco e nero sul quale Sebastiano Satta, il maggior cantore dell'identità sarda dell'Ottocento isolano, ha riportato parole, annotazioni e versi in un periodo di tempo compreso tra il 1898 e il 1912. Si tratta di uno "zibaldone, compagno di lettura e archivio di curiosità", come ci informa Simona Pilia, la curatrice dell'edizione critica (Sebastiano Satta, Leggendo ed annotando, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2005, pp. 308, € 15), che nell'introduzione ricostruisce l'ambiente culturale nel quale sono maturate le amicizie, specialmente con letterati e artisti, i percorsi poetici e stilistici, sia nell'isola che nel soggiorno bolognese dovuto al servizio militare, durante il quale incontrò il suo modello e maestro Giosuè Carducci.
L'attività intellettuale di Satta è collegata all'orientamento politico socialista: i suoi canti sono "ispirati agli ideali di uguaglianza e di progresso sociale, ai miti di un immaginario collettivo: la natura, la donna (sposa e madre-matriarca), l'amore, le leggende tradizionali, il bandito, l'odio, la vendetta, il ribellismo e l'attesa di una palingenesi. Sono i temi di una mitica e drammatica identità sarda". Satta, nuorese di nascita, durante il periodo degli studi, prima liceali e poi universitari, a Sassari contribuì attivamente allo sviluppo della vita culturale sarda attraverso la scrittura poetica e giornalistica, impegno che portò avanti anche successivamente in concomitanza con la professione di avvocato; a questo proposito bisogna segnalare che il quaderno ci offre la possibilità di soddisfare una curiosità relativa al momento della giornata dedicato dal poeta all'opera di creazione: grazie alla presenza di due indicazioni orarie pomeridiane si può ipotizzare una predilezione per le ore serali.
Secondo don Lorenzo Milani "la parola è la chiave fatata che apre ogni porta" e infatti numerosi vocaboli, creazioni vive costantemente in evoluzione, che schiudono tempi, spazi e mondi diversi, sono appuntati in ordine nel quaderno di Satta e costituiscono un piccolo dizionario; si tratta di una raccolta di termini, annotati durante la lettura innanzitutto dei vocabolari e quindi delle opere degli autori preferiti, che suscitano la curiosità e l'approfondimento da parte dello scrittore. Talvolta sono parole ormai in disuso, spesso sono segnalati dei significati parziali, nell'accezione che più si attaglia alle eventuali esigenze di scrittura; tale ottica induce la giustapposizione di espressioni proverbiali e modi di dire, sia in italiano che in sardo, ad esempio dileguare in pianto è accostato a s'isfachere dae su prantu, cioè "disfarsi, sciogliersi in pianto". La questione dell'utilizzo della lingua sarda come mediatrice del ritorno alle origini è affrontato da Satta con la produzione di sonetti in sardo e pochi altri versi, sulla via intrapresa da Peppino Mereu e Pasquale Dessanai.
Interessante anche la sezione dedicata alle annotazioni tratte dai testi che Satta leggeva da cui si evince la predilezione per la letteratura francese, attraverso Zola e Balzac, per i testi filosofici, ad esempio Taine, James e Heine, ma anche per la prosa italiana. Inoltre sono presenti diverse citazioni della classicità latina relative alla grammatica e all'oratoria. Curiosa l'archiviazione di ritagli di giornale incollati alle pagine del quaderno che secondo Maurizio Virdis, autore della prefazione, "paiono spigolature di e su casi giudiziari un po' eccentrici o paradossali ma dotati di immediatezza estetica".
Miriam Punzurudu