Il bambino bussò al cancelletto di legno, ch’era in tutto simile a quello della casa di sua madre nel vicolo del Carrubo, e aspettò in silenzio; dopo un poco la voce potente e rauca di Don Francesco Fulgheri si fece udire dall’interno della casa: “Chi è?”.
“Sono io!” strillò Angelo con la sua vocetta, la sua voce da chierichetto, come diceva Don Francesco per farlo arrabbiare. Senza attendere oltre, il ragazzo spinse il cancello, che si aprì con un lungo gemito. Sua madre gli aveva spiegato che Don Francesco evitava di ungerlo perché così, anche stando nello studio, ch’era in fondo al cortile, sapeva sempre se qualcuno entrava o usciva. Angelo entrò con la trepidazione di sempre, e il sabbione del cortile sgrigliolava sotto le bullette dei suoi scarponi. Sarebbe bastato anche questo per avvertire Don Francesco della sua presenza. Il vecchio, per fargli intendere che aveva capito, si raschiava la gola e tossicchiava dal fondo del suo antro, dove stava rintanato come un gufo.