L'autore
Giuseppe Marci insegna Filologia Italiana all’Università di Cagliari. Fra i suoi studi sulla letteratura sarda: Narrativa sarda del Novecento. Immagini e sentimento dell’identità (1991); Romanzieri sardi contemporanei (1991); Scrivere al confine (1994); Sergio Atzeni: a lonely man (1999).
L'opera
È dai tempi di Lucifero – “nostro padre”, lo definiva Camillo Bellieni – che agli scrittori sardi viene rivolta l’accusa d’avere uno stile barbarus. Accusa ripetuta agli antichi e ai moderni, a Vincenzo Sulis, a Enrico Costa, a Grazia Deledda, a molti altri dopo di lei. Ma non si sono arresi e hanno caparbiamente continuato a scrivere utilizzando tutte le lingue disponibili: la propria e le altrui, le lingue materne e quelle imposte, le lingue dei dominatori che venivano imparate e subito impiegate, le lingue inventate per dar voce al bisogno di raccontarsi, di definirsi come soggetto etnostorico eguale e diverso, capace di adattare la propria identità (anche linguistica) al mutare dei tempi. Finché è poi giunta davvero la stagione nella quale i meticci di tutto il mondo si sono uniti ed hanno cominciato ad affermare il valore del migan, come si dice con parola creola: del misturo, come diciamo noi.