saggio introduttivo di Raimondo Turtas
L'autore
Nato a Bitti intorno al 1562, Giovanni Arca compi gli studi fra i quali si allontanò dopo un decennio per tornare al villaggio natale. Da qui si perdono le sue tracce. L'unico dato certo è un'intensa attività letteraria, attestata dalle opere che di lui sono rimaste: i De sanctis Sardiniae libri tres, stampati a Cagliari nel 1598, e, manoscritte, la Naturalis et moralis historia de regno Sardiniae in sette libri e i due Barbaricinorum libelli. Oltre ad essere stato bersaglio, fin dai suoi stessi tempi, dell'accusa di plagio nei confronti degli inediti del Fara, a partire dall'Ottocento Giovanni Arca è stato confuso ed erroneamente identificato con un autore anteriore quasi omonimo, Proto Arca: l'equivoco - che ha condotto alla creazione di un mai letterariamente esistito 'Giovanni Proto Arca' - è stato dissipato solo di recente sulla base di numerose aporie storiche e da una serie di argomentazioni filologiche, linguistiche e stilistiche ricavate dall'analisi della produzione dei due scrittori.
I curatori
Maria Teresa Laneri è ricercatrice di Letteratura latina medievale e umanistica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Sassari. I suoi interessi scientifici sono orientati principalmente verso la letteratura in lingua latina dei secoli XV e XVI. Nell'ambito degli studi sardi ha pubblicato saggi e monografie su Sigismondo Arquer, Giovanni Francesco Fara, Proto Arca, Giovanni Arca, Monserrat Rosselló, Rodrigo Baeza. Fra i suoi lavori si ricordano in particolare le edizioni critiche del libro II De rebus Sardois di G. F. Fara, della BibIiotheca di Monserrat Rossellò e del De bello et interitu marchionis Oristanei di Proto Arca, pubblicato nel 2003 per questa stessa collana.
Raimondo Turtas ha insegnato Storia della Chiesa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Sassari. Le sue ricerche hanno dato apporti originali ad alcuni momenti fra i più significativi della Storia della Chiesa in Sardegna (come, ad esempio, il ruolo che vi svolsero Gregorio Magno, Gregorio VII, Innocenzo III e lo stesso Bonifacio VIII) ed hanno portato alla luce aspetti, fino ad ora poco esplorati, relativi alla crescita culturale dell'Isola tra il Cinque e il Seicento, con particolare riferimento all'organizzazione dell'istruzione, alla nascita delle Università di Cagliari e di Sassari e alla formazione della classe dirigente locale durante il periodo spagnolo.
L'opera
Per quanto è dato sapere, i Barbaricinorum libelli sono l'unico testo dell'ex Gesuita la cui concezione è del tutto 'originale'. La narrazione è intessuta su un fitto reticolo di fonti che l'autore non esita a piegare pur di raggiungere il proprio obbiettivo: creare una vera e propria epopea dei Barbaricini, l'antico, nobile ed eroico popolo che - come aveva predetto un noto oracolo - nessuna potenza terrena riuscì mai a soggiogare; e infatti fu solo grazie all'intervento divino, rappresentato dall'angelo che in battaglia accompagnava Efisio, che i Barbaricini volsero le spalle al nemico. Ma a fronte di questa entusiastica esaltazione dell'invincibilità dei Barbaricini (un mito tenace che non sappiamo se e come possa essere stato alimentato dalla ricostruzione 'storica' di Arca), è difficile dire se il Bittese apprezzasse di più la loro conversione al Cristianesimo, con la conseguente pacificazione, o non ne rimpiangesse piuttosto l'indomita fierezza e bellicosità pagane.