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VITTORIO ANGIUS


Torino, Tipografia G. Cassone, 1844
Programma dell'Associazione Leonora Regina d'Arborea
Vittorio Angius

Dopo tante storie e minori scritture, che sulla Sardegna si pubblicarono in questi ultimi tempi, a chi oramai sia sconosciuta questa Principessa, figlia d’uno de’ maggiori Sovrani che onorarono il trono d’Arborea, sposa del più illustre uomo, che produsse il ramo sardo della nobilissima famiglia Doria, donna di molto superiore al sesso e secolo suo, ammirata per virtù militare e gran senno, valentissima guerriera, prudentissima legislatrice?
Ecco l’Eroina del dramma che annunziamo.
L’azione in esso rappresentata è quella che con pochi mezzi, ma con grand’animo imprendeva, e in breve tempo felicemente compiva, rivendicando il regno paterno, dal quale la escludevano prima i ribelli, che avean costituito lo Stato in Repubblica; poscia gli Aragonesi, che per istabilire solidamente la loro dominazione operavano ad abolire e annientare l’autorità e potenza de’ re nazionali.
Proposto il soggetto del poema, or proporremo l’intendimento dell’autore, perché abbiasi donde pregiudicare del valor sostanziale dell’opera.
Egli non intese a porre in miglior luce di gloria questa donna straordinaria, che è stata ed è, quant’è merito, onorata, prima per quanto di essa nell’Italia, nella Francia e nella Spagna parlò la fama in su la fine del secolo XIV, poi per quanto dopo il Manno ne scrissero altri Storici: più tosto operava nel principal pensiero di rappresentare il popol sardo nel ero suo essere ed aspetto, e in tutta la sua esistenza, dando del medesimo una nozione in tutte parti sincera e possibilmente intera, e però proponendo il meglio che sia nell’antichità monumentale, nella storia politica e religiosa, e nelle tradizioni di vario genere che si continuarono fino a noi; disegnando il carattere fisico e morale di tutte le tribù in generale e in particolare; notando le antiche istituzioni politiche, l'arti, le usanze lasciate e persistenti, e sottoponendo allo sguardo tutte le varie regioni di quella terra.
Se in siffatto disegno non sia un'ampia utilità noi abbiam patito una miserabile illusione.
Questo poema sarebbesi potuto porgere nella sola lingua italiana; ma perché fu dettato nel dialetto nazionale, perché questo dialetto per la sua grandissima affinità all'antico sermone de' romani è degno di essere conosciuto dagli studiosi della Filologia della gran famiglia latina; e perché mancherebbe assai senz'esso alla cognizione dell'origine e della potenza intellettuale del popol sardo; però si è deliberato di porlo in comparazione con la lingua generale degli Italiani.
Dubitossi per lunga pezza se fosse meglio versificarlo o proporlo in discorso continuo, e valsero poi per la seconda parte alcune ragioni accidentali, e principalmente la comodità di stabilire la grammatica di questa lingua non adoperata finora in componimento di gran dimensione. Non pertanto avran luogo, e spesso, i versi, e saran frammischiate alla prosa frequenti liriche per rappresentare anche in questa parte il vero, sapendo tutti quanto i sardi si dilettino del canto, da essi usato pur nella mestizia de’ funerali, e quanto sia in quell’isola comune l’ingegno della poesia estemporanea.
L’altra utilità, cui non possiam trapassare, proviene dallo spirito che regna nell’opera nel rispetto religioso e morale.
La religione vi ha molte parti, e questo non solo perché sarebbe mal dimenticata in una gran composizione; ma principalmente perché così domanda il carattere del popol sardo, del quale tuttavolta non son dissimulate le superstizioni.
Qui nessuno si avrà a sdegnare perché gli scellerati siano sempre trionfanti; ma come della lezione delle storie maggiori, così della lettura di questo poema, risulterà bella e netta quella idea, che devesi avere della provvidenza, calunniata e blasfemata ora più che mai da’ romantici pessimisti.
Finalmente in tanto numero di attori che han parte in questo dramma, tra’ quali sono non pochi di malvagia natura, si è proceduto con tanta prudenza, che non sia il menomo pericolo alle anime più pure, e per lo contrario sieno in essi confortati i buoni e santi sentimenti.
A queste due utilità noi ci auguriamo che i lettori sentiranno unito il diletto per quello che è poesia, per la novità e originalità delle cose vere che si rappresentano, per l’interesse delle situazioni, per la verità delle scene naturali. Ma tanto è forse più che assai su questo rispetto, sul quale convien aspettare il giudizio de’ critici illuminati.
Non per semplice abbellimento e lusso, ma per meglio rappresentar col disegno e i colori certe cose particolari, delle quali per le parole non si potrebbe porgere un’imagine giusta, si pubblicherà un piccolo Atlante, nel quale saranno rappresentate le diverse foggie delle vesti nazionali, alcune scene del dramma, i monumenti più considerevoli degli antichi coloni dell’isola, e la corografia della medesima, qual era nei tempi di Leonora, perché si conoscano i luoghi descritti, e come l’eroina da una in altra vittoria siasi avanzata da un capo all’altro del regno, dalla sua rocca di Monteleone al Real Castello di Cagliari, dove dettò le leggi della pace agli Aragonesi.
Noi non crediamo prometter troppo promettendo che dopo la lettura considerata di questo poema, spesso illustrato da noterelle, si avrà il frutto di una cognizione di quell’isola e nazione, quale e quanta un estero appena potrebbe sperare dalla oculata esplorazione di tutte le parti di quella terra e dalla lunga pratica con gli abitatori delle varie contrade. L’autore che questo, come dicemmo, si propose, avrebbe mancato a se stesso?

Torino 10 luglio 1844

 
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