Isola mia, modesta impronta
di piede contadino,
chiudi gli orecchi alle lodi
dei ricchi adulatori
che baciano le tue rive
scoprendo i denti d'oro.
Spopolata sei,
anche assetata e incolta
terra di mandorle amare,
di pascoli contesi
di pecore migranti
di olivastri e di ferule
di cardi e di peri selvatici,
isola di svernamento
ancora vai
a passo di pecora
con molti asini e pochi cavalli,
terra d'interminabili discordie
di pastori all'addiaccio
e allevamenti bradi,
isola malsicura e sfiduciata
tra cespugli e pietraie,
tra incendi e sentore di sangue
i tuoi cento dialetti,
il tuo canto triste.
Richiama i figlioli emigrati:
che insieme ti calzino un sandalo nuovo
per le novissime strade
del mondo, che impetuosamente muta.