Sempre ch'io torno da più larghe strade
alle tue soglie, tra la verde pace
degli orti e dei quercioli, un'indistinta
serenità mi coglie: e non ricordo
altra contrada che ti uguaglia, e sento
che gran parte di me vive diffusa
tra le giogaie che ti fan corona.
O mio villaggio bianco, in mezzo al verde,
tu vivi innanzi a me come in un sogno,
se ti guardo dal colle, e vivi come
fuga di tetti rossi incontro al monte.
E novero le case ad una ad una,
ti benedico come un patriarca
antico, e tutto in un abbraccio solo
ti sento: dalla Serra al camposanto,
da Sant'Antonio fino a San Giovanni,
Celeste è la tua pace, a chi contempla
inondati di luna i tuoi sentieri:
e più dolce è il tuo sonno al plenilunio
quando la luna pare si compiaccia
del campanile, immobile gigante,
che vigila sul tuoi nuovo destino.
Mani industri l'eressero e fu lode
per la tua forza, e ancora la rossigna
pietra ragiona del tuo sommo ardore.
Io lodo la tua grazia, nel mattino,
se splendono i graniti al nuovo sole,
se il fiume empie la valle di canzoni,
lieto dei pioppi, che si dàn convegno
presso la riva, a ragionar d'amore.
E lodo le tue fonti nel meriggio:
fonti degli orti, fonti dell'altura
ove bevvero i padri taciturni,
con le coppe di sughero, a conforto
delle vigilie, sulle rupi torve.
Nessun'acqua fu mai tanto soave
per il cuore del nomade, nessuna
lascia nel cuore tanta nostalgia.
Al cuore che ritorna, ricompare
la cara infanzia, come in un velario:
ogni sentiero, un volo di farfalle,
una reggia dorata ogni tugurio.