Cagliari, Condaghes, 2001
Magistra Vitae (Non toccate la gramigna)
Paolo Giovanni Maninchedda
Come ogni sera, alle diciasette e trenta esatte, Riccardo aspetta alla fermata di Largo Carlo Felice. Dopo due minuti giunge il Cinque, il glorioso autobus metropolitano che collega lo stadio Amsicora, prossimo al mare, con il cimitero di S. Michele, maestoso presidio della pietà nella periferia cagliaritana. Un autobus è un covo di germi, di odori e di profumi, uno dei pochi luoghi democratici dove tutti sono uguali, insomma un'insopportabile allegoria della condanna alla contiguità tra felici e infelici, tra fortunati e disgraziati. Ma il Cinque è un autobus aristocratico. Attraversa, con privilegio concesso in tempi immemorabili, via Mannu e via Garibaldi, isole pedonali per il sindaco e paradiso delle pizze al taglio, delle patate fritte e delle birre per i ragazzi. Riccardo prima di salire indossa i guanti, d'inverno quelli normali, d'estate quelli in lattice; prima di sedersi pulisce il sedile con un fazzoletto di carta che poi ripone in un piccolo sacchetto di plastica. Riccardo, ogni sera, dopo aver inveito contro l'inciviltà dei sardi, contro gli odori dell'umanità, contro gli autisti spericolati e maleducati, guarda il mare, s'incupisce e pensa ad Elena. Quattro anni fa il dott. Fabio Curreli e la sua Elena lo salutarono all'aeroporto diretti a Milano per un corso di aggiornamento. Non sono più tornati. Oggi hanno due figli. Lui è direttore della filiale di Sesto S. Giovanni, lei fa la casalinga e si occupa di volontariato.