Caccia al lupo. Ircania, anno 336 a.C.
I cacciatori aspettavano silenziosi, con le frecce incoccate nell’arco, immobili come statue. Erano disposti in un vasto cerchio attorno alla tana, e le loro tuniche di pelle, guarnite d’ispida pelliccia grigia, spiccavano scure sul bianco della neve.
La lupa, nel buio, in fondo al cunicolo sotterraneo che era il suo rifugio, ne avvertiva l’odore, nonostante il vento spirasse in un’altra direzione, e ringhiava sordamente. Poi sentì il crepitare del fuoco tra le fascine secche ammucchiate contro l’imboccatura della tana, e il fumo acre cominciò a filtrare all’interno. I cuccioli guaivano spaventati stringendosi contro i suoi fianchi. Un paio cominciarono a tossire. Presto il fumo invase completamente la tana. La lupa comprese che lì dentro non c’era più scampo. Si alzò, si scollò di dosso i piccoli, scoprì i denti, tese i muscoli pronta a balzar fuori e a dar battaglia.
Fuori, nel cielo sereno reso più limpido dal freddo, la luna navigava silenziosa, con la sua vela d’argento spiegata, simile alle panciute navi che, poco più a nord, solcavano le acque del Mar Caspio.
I cacciatori aspettavano immobili. Nessuno di loro era preparato al prodigio che sarebbe apparso ai loro occhi fra pochi istanti. Erano uomini audaci, ma rozzi e ignoranti, che vivevano cacciando bestie feroci nei boschi cupi dell’Ircania, e non conoscevano del mondo altro che le rocce, i crepacci e i sentieri scoscesi di quelle foreste selvagge.