Milano, Cartacanta, 2001
La strega di Vallebuia
Bianca Pitzorno
Fu il quattro di giugno 1641 che la gente di Pontieri sentì parlare per la prima volta di colei che in seguito, anche dopo che se ne conobbero il nome e il cognome, venne designata dal popolo soltanto come “la strega di Vallebuja”.
Quel giorno tre garzoni che per una bravata o scommessa d’osteria, nonostante la stagione ancora rigidetta – o forse appunto per questa – s’erano spinti a bagnarsi alle Vasche dei Bagnoli, tornati in paese all’ora del vespro raccontarono d’aver intravisto nel folto di querce all’imboccatura della valle la figura d’una donna giovane e di straordinaria bellezza, la quale, al rumore dai garzoni medesimi cagionato nel tentativo d’avvicinarla e nonostante i loro richiami, era fuggita e si era dileguata nel bosco, in direzione dei ruderi di Ca’ del Nero.
Tra coloro che udirono questo racconto, i più non vi prestarono orecchio, giudicandolo fantasia suggerita dall’eccesso del bere e ricordando che altre volte i medesimi garzoni, che si chiamavano Lapo Bartolomei, Guido di Cesco Arrighi e Vieri da Libbiano, trovandosi in stato d’ebbrezza, avevano millantato avventure straordinarie.
Lapo, oltre a ciò, avea fama di sapere un poco di lettere, essendo stato pigionante del piovano Accorsi di San Miniato, e a tal cagione fu assai deriso, dicendogli molti che lasciasse le ninfe dei boschi alle rime del cavalier Marino, ch’esso Lapo era garzone di bottaio e non Adone innamorato.
Quel giorno tre garzoni che per una bravata o scommessa d’osteria, nonostante la stagione ancora rigidetta – o forse appunto per questa – s’erano spinti a bagnarsi alle Vasche dei Bagnoli, tornati in paese all’ora del vespro raccontarono d’aver intravisto nel folto di querce all’imboccatura della valle la figura d’una donna giovane e di straordinaria bellezza, la quale, al rumore dai garzoni medesimi cagionato nel tentativo d’avvicinarla e nonostante i loro richiami, era fuggita e si era dileguata nel bosco, in direzione dei ruderi di Ca’ del Nero.
Tra coloro che udirono questo racconto, i più non vi prestarono orecchio, giudicandolo fantasia suggerita dall’eccesso del bere e ricordando che altre volte i medesimi garzoni, che si chiamavano Lapo Bartolomei, Guido di Cesco Arrighi e Vieri da Libbiano, trovandosi in stato d’ebbrezza, avevano millantato avventure straordinarie.
Lapo, oltre a ciò, avea fama di sapere un poco di lettere, essendo stato pigionante del piovano Accorsi di San Miniato, e a tal cagione fu assai deriso, dicendogli molti che lasciasse le ninfe dei boschi alle rime del cavalier Marino, ch’esso Lapo era garzone di bottaio e non Adone innamorato.