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RINA BRUNDU


Palermo, Flaccovio, 2003
Tana di volpe
Rina Brundu
Sarebbe sembrato morto, se non fosse stato per uno strano movimento del labbro superiore, che si sollevava e si abbassava all’unisono col respiro. Il vecchio, invece, si era addormentato sul divano accanto al camino, con il braccio sinistro, rosato e rugoso, che penzolava fin quasi a sfiorare il pavimento. Il soggiorno era immerso nella penombra e dalla finestra, attraverso le tendine ricamate, penetrava una luce bianca e gelida. Il fuoco era quasi spento, il bagliore delle braci andava scemando, mentre i ceppi di legno sembravano un mucchio di arti mozzati e malamente bruciati. Scosso da un brivido di freddo, il vecchio tossì e si svegliò. Gli occhi grigi vagarono per la stanza. Cominciò a borbottare. Sputò. Si sollevò lentamente e si sedette posando i piedi prima sul pavimento freddo e poi sulle pagine di un giornale di enigmistica che gli era scivolato dal petto prima di addormentarsi. La carta era più calda e gli diede il tempo di cercare le scarpe da passeggio nere. Anche i pantaloni e il gilè di fustagno erano neri, in contrasto con la camicia candida. Dal panciotto sbucava la catenella di un cipolline d’argento che afferrò in modo meccanico, per controllare l’ora: le quattro del pomeriggio.
Si alzò sbuffando, andò verso il camino e si diede da fare per riaccendere il fuoco. Si sentiva stanco, più stanco che mai, ma non c’era da meravigliarsi considerate le diatribe dei giorni precedenti e il lavoro che ancora lo attendeva in biblioteca. Lo squillo del campanello lo infastidì e sperò, chiunque fosse il seccatore, di non essere trattenuto.
 
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