Nuoro, Ilisso, 2003
Ghermita al core
Pietro Casu
La fattoria del monte, un casone mezzo rustico a un piano attorniato da varie altre capanne, tra orti, chiusi e lecceti, s’era destata da poco al festoso affaccendio del mattino. I pastori erano intenti alla mungitura, e tutto l’altipiano selvoso e roccioso era vivo di canti, di tintìnni, di gridi. Zio Pascali Luna, il vecchio, mungeva le vacche, dentro alla gran mandra murata: il figlio maggiore, Girominu, le capre, dentro il recinto dall’alta siepe di rami forcuti infissi nel suolo: Malcu, il minore, le pecore stipate dentro un addiaccio limitato da fascine di cisto. I servi legavano e slegavano i lattonzoli, che si lamentavano con mugli pietosi quando venivan strappati violentemente dalle poppe materne e gorgogliavano appagati quando potevano abbandonarsi scodinzolando, a succhiar gli avanzi del latte, che le dita adunche del padrone non avevano potuto spremere. Spiranza e Filumena, due delicate bellezze in fiore, prendevano i secchi di lamiera, di legno, di sughero, ricolmi di latte, dalle mani del padre e dei fratelli, e li porgevano alla mamma, zia Francisca Ciudeddhu, che le attendeva sulla soglia della capanna del cacio, o li votavano esse stesse nei paioli capaci, collocati su cèrcini di fronde. La poesia del maggio si diffondeva sulle frasche occhiute di corolle, tra i nodi di granito, sui valloncelli, sui poggi, deliziando persone e cose, svanendo in dolce armonia di luci e di voci verso la cima del Limbara che si ergeva nel cielo di cobalto.