Nuoro, Ilisso, 1999
Il quaderno di don Demetrio Gunales
Salvatore Cambosu
Oggi abbiamo seppellito il nostro ospite che è morto da noi, in casa nostra, dopo solo poche ore dal suo arrivo a cavallo. C’eravamo tutti al funerale: da mio padre sino alla minore delle mie sorelle, e sino all’ultimo dei nostri uomini di fatica. Al ritorno nostra madre ci ha detto un po’ mesta: – A questa ora si sarà già incontrato con i suoi; con sua madre, donna Maria Elisabetta, che io ho conosciuta e che era l’ultima degli Orzocco; con suo padre don Mariano, che era l’ultimo dei Gunales. Poi, gli saranno già andati incontro anche gli antenati, che furono, chi primo nella Chiesa, chi primo a Corte. Nostra madre, al solito, ci voleva incantare: non sa raccontare mai niente, anche di quanto ci accade attorno, senza che tenti di trasportarci nel paese dei miti. Quando canta le filastrocche alla più piccina, che è ancora in culla, mi sembra che faccia ogni sforzo per convincersi che è possibile si avverino tutti gli auguri, molti dei quali assurdi, che fa alla bambina. Altrettanto deve aver fatto con ciascuno degli altri di noi, suoi figli, e l’esperienza non le ha insegnato che quelle cantilene fatidiche hanno solo il potere di esprimere un affetto che non ragiona, pronto a tutto, insieme con quello, pratico, di ammansire il Sonno che finisce ogni volta con l’arrivare a passo scalzo.