Milano, Casa Editrice Ceschina, 1968
C'è un'isola antica
Francesco Zedda
Marzo 1720.
Nell’immenso arco del golfo, Cagliari appare tutta tesa verso il mare. Chi entra con la nave e va veleggiando verso il porto la vede da lontano maestosa aerea sulla collina come un grande castello di pietra bionda: le cupole i campanili le torri i torrioni i terrazzi toccano il cielo. La città è tutta chiusa da una fascia di mura altissime, a sperone e a strapiombo sullo smalto dell’onda e dell’erba con le porte di ferro aperte sotto le tre torri. La Torre dell’Aquila, la Torre del Leone, la Torre dell’Elefante, nitide, perfette, in quel cielo orientale dominano tutto, dai lontani monti del Sârrabus sino al cerchio dell’orizzonte, dando ai suoi abitanti l’idea delle cose eterne e insieme una serenità geometrica e una sicurezza inespugnabile che, la notte, li concilia al sonno più tranquillo.
Nell’immenso arco del golfo, Cagliari appare tutta tesa verso il mare. Chi entra con la nave e va veleggiando verso il porto la vede da lontano maestosa aerea sulla collina come un grande castello di pietra bionda: le cupole i campanili le torri i torrioni i terrazzi toccano il cielo. La città è tutta chiusa da una fascia di mura altissime, a sperone e a strapiombo sullo smalto dell’onda e dell’erba con le porte di ferro aperte sotto le tre torri. La Torre dell’Aquila, la Torre del Leone, la Torre dell’Elefante, nitide, perfette, in quel cielo orientale dominano tutto, dai lontani monti del Sârrabus sino al cerchio dell’orizzonte, dando ai suoi abitanti l’idea delle cose eterne e insieme una serenità geometrica e una sicurezza inespugnabile che, la notte, li concilia al sonno più tranquillo.