ABACRASTA
Abaca, abaco, Abacuc… Abacrasta, il nome del mio paese, non lo troverete in nessuna enciclopedia, e neanche segnalato nelle carte geografiche. Al mondo non lo conosce nessuno, perché ha solo millenovecentoventisette anime, novemila pecore, millesettecento capre, novecentotrenta vacche, duecentoquindici televisori, quattrocentonovanta vitture millecentosessantatré telefonini.
Abacrasta è famoso solo nel circondario, dove lo chiamano «il paese delle cinghie». A Melagravida, Ispinarva, Oropische, Piracherfa, Orotho, quando passa uno di Abacrasta, si fanno il segno della croce e si domandano:
«E a quello, quando gli tocca?»
Ad Abacrasta, di vecchiaia non muore mai nessuno, l'agonia non ha fottuto mai un cristiano. Tutti gli uomini, arrivati a una certa età, fiutando la fine imminente, si slegano i calzoni come per andare a fare i bisogni, si slacciano la cinghia e se la legano al collo. Le donne usano la fune. Qualcuno si spara, si svena, si annega, ma pochi, molto pochi, rispetto agli impiccati. Nelle tanche di Abacrasta non c'è albero che non sia diventato una croce.