Torino, Giulio Einaudi Editore, 1992
Viaggio in mare (La figlia perduta)
Salvatore Mannuzzu
Ho sognato l'Argentiera; so anche perché. Non ci ritorno da molto tempo, neppure con la mente; e quasi mai mi capita di sognare: o di ricordare i sogni che faccio. Credo d'aver rimosso dalla coscienza quel luogo: pensarci, rivederne un'immagine anche in un lampo della memoria, mi cagionava sofferenza; una sofferenza che mi pareva insopportabile; e poi invece, come il tempo passava, una forte e strana vergogna. Ora non mi sembra possibile aver provato quei sentimenti. Dunque stavo all'Argentiera, sola; era giorno. E tutto era come l'avevo conosciuto: la piccola borgata deserta, con le poche disabitate e chiuse; gli impianti minerari in abbandono: le colline scure dalle scarpate ripide, cresciute in molti anni attorno alle discariche (si estraeva, credo, piombo e zinco), e gli alti edifici di legno della laveria, persino i loro vetri rotti. Scendevo verso il mare, nella strada serpeggiante e polverosa, come per una passeggiata: non so dove avevo incontrato un cane – un piccolo cane sconosciuto, bianco -, che mi veniva dietro, mantenendo una certa distanza.