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MARIA GIACOBBE


Nuoro, Il Maestrale, 2003
Diario di una maestrina
Maria Giacobbe
Una ragazza di buona famiglia
Nella casa dei miei nonni, che a quei tempi era ancora la più bella del quartiere, crebbi sino ai sei anni credendomi ricca. Nelle casupole intorno abitavano piccoli contadini, muratori, braccianti, un asinaio, guardie carcerarie. Trattavo i bambini con protettiva condiscendenza ma le amiche, con le quali potevo annoiarmi con distinzione, le trovai già pronte nel parentado e nell'ambiente dei colleghi di mio padre. Nessuno però mi impediva di giocare con i figli delle lavoranti a giornata che due o tre volte al mese venivano da noi per le inteminabili “cotte”: quintali di grano da macinare e trasformare in anemiche sfoglie di pane bianco per la famiglia e in grosso pane scuro per i servi in campagna.
Anche a noi bambine davano della pasta da gramolare “per cominciare a diventare massaie”. Ma se qualcuno dei ragazzi osava avvicinarsi al tavolo dove le donne lavoravano, veniva respinto con parole di scherno. “Giovanni-Lucia” era il nomignolo denso di ironia oscura ma sanguinosa dato ai maschi che manifestassero femminili preferenze.
 
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