Uno
Adesso ho i chili che mi zavorrano a terra e non mi ricordo neppure come facessi a trovarmi bello, ma molti anni fa non ero questo pizzaiolo grasso con le mani distrutte, e scappavo veloce per le stradine d’Europa sfuggendo alle pattuglie di una decina di paesi, più veloce di qualunque Polizei.
Sopra il forno a legna tengo la foto di mio padre, buonanima, che quand’ero poco più che bambino me le dava con un frustino di nerbo di bue, e faceva bene, perché andavo al tabacchino della vecchietta e rubavo le Nazionali, sfuse, oppure fermavo i bambini più piccoli di me e mi facevo dare gli spiccioli che avevano avuto di resto. Non mi dava soldi, il vecchio, e io mi arrangiavo, ero un bastardo e pochi anni ancora e avrei potuto uccidere qualcuno per una carta troppo fortunata, come in uno squallido West fuorimano e fuoritempo.
Avevo il mento lungo e degli occhi infuocati, lo so perché me lo diceva la mia ragazza di allora, Carla Pilloneddu, che aveva quattordicianni ma due tette che bastavano per cinque.
Fogu téisi me is ógusu, diceva, ci hai il fuoco negli occhi, e io non volevo mai fermarmi quando decideva lei, e m’incazzavo anche, ma insomma mi porti in questo schifo di domixedda in mezzo all’orto di tuo zio e vuoi che mi fermi adesso, eh! Vi conosco io a voi ragazze, le dicevo, e non mi fermavo.