Milano, Adelphi Edizioni, 1980
De profundis
Salvatore Satta
Nel gennaio 1943, in uno scompartimento di prima classe del treno proveniente da Roma, viaggiavano sei persone, comodamente sprofondate nei cuscini rossi. Nel lungo corridoio brancolavano fra le tenebre dell’oscuramento delle forme umane, mal rassegnate a passare tutta la notte in piedi: di quando in quando, taluna di esse apriva la porta e chiedeva ai viaggiatori che concedessero di alternarsi nel riposo, o almeno si stringessero un poco per creare il cosiddetto quarto posto; scene ormai consuete che riproducevano in aspri battibecchi l’eterno conflitto fra giustizia e diritto. Nello scompartimento di cui parliamo la tutela del diritto era stata assunta da un signore elegante e corpulento che rientrava dalla capitale dopo aver fatto valere la sua influenza presso i ministeri in favore di una società di armamento: con la parola pronta e vivace egli finiva con l’imporsi ai disturbatori, e gli altri compagni di viaggio, se anche in cuor loro sentivano che le pretese degli sfortunati non erano del tutto ingiuste, si mostravano felici di aver trovato il modo, per l’abilità del difensore, di salvare i posti, mantenendo tranquilla la loro coscienza.
Per lungo tempo il viaggio poté proseguire senza noie, e i sei viaggiatori si abbandonarono al sonno.
Per lungo tempo il viaggio poté proseguire senza noie, e i sei viaggiatori si abbandonarono al sonno.