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BACHISIO ZIZI


Cagliari, La Voce Sarda Editrice, 1984
Erthole
Bachisio Zizi
Mi fermai alla traversa, sa Pred’iscritta, come la chiamavano allora, un segno che pareva indicare il limite di una diversità o di un’esclusione; quella strana pietra, quasi colonna invalicabile per i frettolosi viaggiatori, aveva fermato anche un re, capitato, non si sa come, in quel luogo di apparizioni e di trapassi.
- Quanto spreco! – aveva esclamato con regale avidità, mentre divorava con gli occhi i colli in fuga verso il mare lontano e le cime bianche dei monti che a sera svanivano nei rossi del tramonto. Volevo guardare anch’io dall’alto il paese, messo lì da un estroso creatore, forse per far dispetto ai re; tentavo di misurarne la crescita, di cogliere i mutamenti visibili a quella distanza. Ma era passato tanto tempo da quando era andato via, senza voltarmi, seguendo l’antico sentiero tracciato dai molti che prima di me avevano voluto connoschere munnu.
Erano gli «altri», quelli che sapevano leggere il segno di sa Pred’iscritta, a percorrere la strada nuova, assurdo intreccio di geometrie improbabili. Quella mia fuga l’ho sentita sempre come una caduta. Il paese però me lo portavo appresso.
Restare, fuggire; uscire, tornare… così si consumava l’esistenza di tutti, anche di chi viveva le fughe solo nella finzione, come il povero Giovanni-Valigia, che a ogni mutare di stagione saliva fino a sa Pred’iscritta e sul ciglio della strada, seduto su una vecchia valigia logorata dall’attesa, fingeva partenze seguendo con lo sguardo triste le rare macchine che transitavano, e che lui s’illudeva di poter fermare con un cenno impercettibile della mano.
- Sa thucada… - gridava minaccioso, senza però completare l’imprecazione del fumo che si dissolve nel nulla, perché credeva di «andare» anche lui, leggero come la polvere, e di compiere il viaggio della conoscenza a lungo meditato. Tornava a casa pago e attendeva la nuova stagione, raccontando agli altri e a se stesso quant’era grande il mondo che lui credeva di avere conosciuto.
 
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