Tabarka. lì 25 Novembre 1907
Carissimo Attilio, sono da stamane favorito dalla tua graditissima cartolina alla quale voglio risponderti lungamente e sollecitamente, tanto che ti convincerai che io molto meglio di te riesco ad annoiare chi fa la bestialità di leggermi.
Prima di tutto torniamo un passo indietro. La tua bella lettera che mi fu graditissima, e mi lusingò un tantino, anzi un po’ troppino col Poeta degli Umili. Io ti ringrazio di cuore della tua squisita attenzione. Ma sai? Io sono così grande ammiratore di quell’uomo, che sfiderei l’impossibile se sapessi di fargli cosa gradita. Però ho mandato a tanti quella rivista e sono sicurissimo che molti e molti l’avranno commentata ed avranno seminato le loro critiche, chi giuste e chi scorrette. Tu sai benissimo che la mia vita, che fu recisa può dirsi al primo albore, non permise al mio cuore, alla mia anima, alla mia intelligenza di sbocciare come i fiori a primavera. Sai bene che ho avventato la mia fanciullezza per il pane per lidi lontani ed incogniti e che se ho nel cervello la pazza idea di scrivere e di far versi, non ho le pretese di gloria, cosa non concessa ai poveri come me di 5ª elementare. Però, siccome più che di me, si tratta del Poeta, vorrei che tu, poiché certamente devi esserti ritrovato di fronte a qualche diceria in proposito, mi dicessi l’impressione che ha fatto nei più e quali siano le persone con le quali ne hai parlato e da quali ne hai sentito parlare.