Questo libro, che ha in fronte il nome del mio bambino e si chiude con i ricordi di una pena indimenticabile, canta o, meglio, narra il dolore della mia gente e della terra che si distende da Montespada a Montalbo, dalle rupi di Coràsi fino al mare; e canta dolor di madri, odio di uomini, pianto di fanciulli.
"Barbaricini" ho voluto chiamare questi canti perché sono accordi nati in Barbagia di Sardigna; ed anche quando essi non celebrano spiriti e forme di quella terra rude ed antica, barbaricini sono nell’anima e barbaricine hanno le fogge e i modi.
"Le selvagge", che sono il cuore nero del libro, ricordano gli ultimi anni di sconforto e di tenebra, quando gli ovili erano deserti e tremende e tragiche suonavano le monodie delle prefiche, e l’animo era smarrito e percosso da sciagure e odî nefandi. Ah, il poeta vide veramente quelle madri vagare sui monti cercando i figli feriti nelle stragi omicide, e vide veramente arar la terra coi fucili legati all’aratro!
Ma la notte dileguò e si udirono i canti antelucani.
S. S.
Nuoro (Sardegna), ottobre 1909