Consideriamo la situazione preesistente in Sardegna all’arrivo dei Fenici, dei Punici e dei Romani. Si tratta di un settore di studi fra i più complessi, giacché, ignorandosi pressoché tutto delle lingue più anticamente parlate nell’isola (manca, in particolare, ogni documentazione scritta), i glottologi devono procedere all’identificazione di quegli elementi del lessico, della fonetica e della toponimia sarda attuali che, non potendosi spiegare alla luce di lingue note, vanno ascritti, con un procedimento puramente negativo, al fondo linguistico più antico, sulla cui composizione si possono solamente formulare ipotesi più o meno plausibili.
Incominciando dal lessico, resti del sostrato paleosardo si identificano soprattutto fra i vocaboli che indicano formazioni geomorfologiche, piante e animali. Esempi del primo caso sono il camp.
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ára,
(altipiani basaltici e granitici, come la Giara di Gesturi, a sud di Oristano), oppure il barb. e camp. bák(k)u, ák(k)u (valle, forra, sella fra due montagne, gola montana), nella toponimia: Bacu Abis, vicino a Carbonia); fra i fitonimi il nuor. thinní
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a,
log. tinnía, camp. tsinní
ǥ
a
«sparto», éni, la denominazione del tasso in Ogliastra, a Orgòsolo e a Dorgali, e ancora il centr. athánda, thánda, thránda, tsántsa «papavero selvatico»; fra i nomi degli animali si ricordano il tipo assíle, kassíle, grassí
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ile, grassíle
e simm., impiegato in logudorese e in campidanese settentrionale per indicare la martora; la denominazione thurunkròne, thilingròne, tilingròne, (at)tilin
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òne, tsiringòne, sittsiringòni