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Note introduttive
Il secondo Novecento
Il secondo Novecento
Maria Lai. Le severe regole di un’arte giocosa

 Le è bastato un nastro azzurro per legare una montagna e le case di Ulassai una per una e stringere in stretti nodi i suoi abitanti. Ha tenuto per mano il sole, ha distillato olio di parole, si è imbarcata su barche di carta, tessuto gli scialli della luna, cresciuto alberi di miele amaro.

Il percorso creativo di Maria Lai ondeggia tra opere nuove e storiche senza evidenti sbalzi cronologici. Ci sono, e c’erano, i luminosi universi di astri sul velluto, i paesaggi di sabbie, i libri cuciti e i libri di terracotta, le pietre che germogliano, i pani che lievitano. Sono compatti, i pani di Maria Lai, non hanno preziosi ghirigori, non prendono le forme della festa: tondi moddizzosus da spezzare con le mani, una crosta dorata e una morbidezza nascosta. Impastare e filare, il forno e il telaio, il fuoco e il pensiero.

 Senza cesure e senza abbandoni, Maria Lai inventa e rielabora, seguendo suggestioni antiche e insieme i segni e i rumori di una realtà attuale di cui è attenta testimone e interprete. I cieli notturni delle Geografie si accompagnano alla visione della bianca spiaggia di Cea – la faccia chiara dei monti di Ulassai – telai vecchi e consunti si allungano fino a diventare nere torri, protesi combuste nate l’undicisettembre. I libri cuciti – tra le sue opere più struggenti – hanno pagine pesanti di tessuto, i fili forano la tela, bucano e rattoppano, si annodano, s’ingarbugliano e si liberano, formando una tessitura senza parole e senza alfabeto. Sono tattili, domestici e misteriosi e contengono il sapere e la memoria e il fervore delle mani. Piacerebbero a Claes Oldenburg i grandi aghi in acciaio con cui Maria Lai ha ricamato muri, arnesi giganti e acuminati che lei lascia infilati, come fanno le sarte quando riposano un po’. Sempre tornano i temi poetici di Cuore Mio e di sua madre Maria Pietra, del Dio distratto, del pastorello mattiniero e della sua capretta dal campanellino d’argento, delle janas operose come le dita delle donne, operose come le api che fanno il miele.

        Alessandra Menesini
[Nae. Trimestrale di Cultura, n. 11 - Estate 2005]  

 
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