Ugolino Stramini indossava una delle sue grisaglie striminzite. Sulla grisaglia non transigeva dai tempi del liceo: anche all'esame di maturità ne aveva indossato una. La considerava un rivestimento che, era convinto, conferiva al suo corpo da piccolo levriero cinquantenne un aspetto allo stesso tempo dignitoso e agile. Un'agilità, pensava lui, non muscolare, non visibile, ma sostanziale.
- Acqua, acqua! Acqua dal cielo!
- Fradici!
- Sommersi!
Esclamavano tre uomini in camice bianco. La grisaglia spaventata di Ugolino venne meno. Perse i contatti con la stanza, sentì che la luce opaca della giornata non lo scaldava e di colpo gli sembrò di non avere avvenire davanti e passato dietro. I tre lo guardavano spietati e lui galleggiava nel chiarore dopo il temporale: “Mi sento come in un fronte occluso…un fronte! E questi tre, cosa aspettano?”
Guardò fuori dalla finestra e lo vide chiaro l'alto cumulo castellano con le sue torrette in alto: c'era, c'era e lui non l'aveva neppure guardato.