Idealizzare quest'essere debolissimo fino a trasformarlo in angelo è per vero un romanticismo troppo spinto. La donna sulla terra è chiamata angelo, forse per compassione; sapendosi da tutti che Dio non vuole in Cielo angeli femmine - e di ciò fanno fede tutti i pittori del mondo. - Trascinare però la donna sempre nel fango - studiarla unicamente nei postriboli - analizzarla dal solo lato della sensualità, come se non avesse altra missione sulla terra - negarle infine l'anima e il sentimento, più che sfrontatezza è ingiustizia, più che crudeltà è ingratitudine; è insulto che noi facciamo a nostra madre, alle nostre sorelle, alle figlie nostre!
Chi crede sul serio che la donna sia un angelo, è uno sciocco, che meriterebbe la lapidazione; - ma dire che la Lucia del Manzoni sia un tipo impossibile - sogghignare malignamente sopra una santa virtù, ponendola sempre in dubbio, è da uomo che non ha amato, né fu amato mai. La virtù, la fedeltà, l'onore, e simili, appartengono ad un convenzionalismo sociale? - e sia! - ma certe illusioni bisogna rispettarle, quando servono di base all'umana famiglia, la quale non può reggersi senza di esse. Dite addirittura, senza tanti preamboli, che l'uomo non è fatto per costituirsi in società, e che tutte le donne devono essere a noi comuni, poi che la natura non ha fatto distinzione di sorta tra uomini e bruti - sarete almeno più compatiti!
Il fatto serio pertanto, e molto grave è questo: che di cento poesie covate dal façon realismo, voi non ne trovate una sola che tratti della famiglia - un sol verso che si occupi della madre. È sì che il povero Tarchetti ha scritto: « - La natura ci dà l'esistenza fisica - la donna l'esistenza morale; l'una sviluppa colla luce, cogli anni, coll'operosità, col lavoro - l'altra cogli affetti di madre e d'amante. - »
Gli argomenti prediletti della nuova scuola che vuol dare il vero indirizzo alla letteratura si aggirano sempre sui medesimi soggetti: la donna nell'esercizio del suo sesso - le grisettes che siedono sulle vostre ginocchia - le sale anatomiche - la noia, il fastidio e il dubbio - la materia che si trasforma - il fosforo magico che un tempo serviva per la fabbrica dei zolfanelli, ed ora serve a formare le anime, le menti ed i cuori - e siamo sempre lì! - un nuovo moderno che si è già invecchiato in pochi mesi. Se voi non vi affrettate a imbottigliarlo vi si farà aceto.
Oggi si sbadiglia e si ride, perché l'umorismo è il carattere dell'odierna società - ed è giusto. Se la moda cambia il taglio ed i colori degli abiti, perché mai non deve cambiare il colore dei nostri umori?
Si scherza e si ride su tutto; mai però una seria parola sulla famiglia che forma la patria - mai un verso sulla madre che forma la famiglia. Ond'io non ho mai saputo conciliare il feroce patriottismo di certi entusiasti che ostentano tanta tenerezza per la terra che li vide nascere, coll'innata avversione, o irrisione umoristica, per la donna e la famiglia! C'è da dubitare fortemente che molti dei così detti patriotti non siano altro che ciarlatani della libertà; e se qualche volta li vediamo sul campo di battaglia, vi accorrono solo per buscarsi una posizione sociale che non hanno, o per mascherare la noia di un suicidio da consumarsi tra le fredde pareti di una cameretta silenziosa.
La famiglia è fuori di moda - la madre non si usa più - la donna non è altro che un basso strumento, un passatempo per esilarare l'uomo nei momenti di ozio. La donna serve per quel che serve; quindi è un errore madornale dire che la nostra Italia vanta 28 milioni di abitanti, quando essa non ne conta che 14 milioni; poiché se volete comprendere le donne nel numero delle anime, vi si dovrebbero pure comprendere i cavalli, i cani e le altre bestie, riducendo così la cifra della popolazione italiana a centinaia di miliardi!
Povera donna, va là che t'han concia per le feste! Eppure in tuo favore se ne dissero tante un tempo! Smiles ha scritto, che la donna educa il genere umano con maggior efficacia di ogni altro istitutore; - Herbert ha scritto, che una buona madre vale cento maestre; Rousseau, che la prima educazione, la più importante, appartiene incontestabilmente alla madre; - e Napoleone I, che la buona e cattiva condotta di un figlio dipende tutta dalla madre! - »
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Al nuovo! - bisogna cercare il nuovo! - e per trovare il nuovo nel mondo vecchio non v'ha che un sol mezzo: cantare ciò che i nostri padri hanno giudiziosamente taciuto in omaggio alla moralità ed al pudore. Come Ruth nei campi di Booz, voi spigolate nel campo dove hanno mietuto i nostri vecchi, e non trovando spicche, portate via la gramigna e l'ortica, che quelli si son ben guardati di toccare.
Odio anch'io l'Arcadia, le viete forme stereotipate, i periodi a rime obbligate, le cadenze ritmiche a moto perpetuo - odio il romanticismo svenevole, molle, slombato, ed amo il realismo in arte ed in letteratura; quel realismo però che non è vostra invenzione, ma bensì vecchio quanto il genio; che lo trovate in tutti i grandi parti dell'umano ingegno, dalla Bibbia ad Omero, da Omero a Dante, da Dante a Shakespeare, da Shakespeare ad Alfieri, a Parini, a Giusti; quel realismo che mi fa pensare, che mi fa sopportare con coraggio e rassegnazione le sventure - quel realismo che può rendermi buon padre e buon cittadino, che mi trasporta in regioni serene, e non mi nutre di dubbi, di noie e di corbellerie filosofiche.
Ma, quali sono le ragioni per cui molti campioni di questa scuola, invece di occuparsi del perfezionamento della famiglia, preferiscono ritrarre con qualunque linguaggio, purchè efficace, la parte guasta della società, senza pur l'intendimento di recare un sollievo ai nostri mali?
Le ragioni potrebbero esser due:
O essi mentono a sé stessi, ostentando, per seguire la moda, un dubbio che non sentono, un sogghigno che sfiora appena il loro labbro, ed un disprezzo che son lontani dal provare; vergognandosi quasi di una fede, o di una lagrima, ed arrossendo d'esser creduti capaci d'un sentimento nobile e generoso.
Oppure - bisogna dirla! - essi si fermano di preferenza su certi argomenti, perché non possono ritrarre che i soli oggetti di cui si circondano e i relativi affetti che provano alla loro vista, o contatto. Amareggiati, disillusi, traditi dalla società, che quasi sempre è ingiusta coll'uomo di genio, essi cercano nei postriboli l'oblio dei loro disinganni, e maledicono la natura e gli uomini, perchè alla loro volta si credono maledetti dagli uomini e dalla natura. Ed è allora che si dànno in braccio ad una vita scioperata, facendo della notte giorno, e del giorno notte. E quei poveri infelici soffrono, perché non conoscono o sdegnano di frequentare quelle civili ed oneste riunioni di famiglia dove la virtù non è una merce rara; diventano incresciosi a se stessi ed agli altri perché non sono che spostati - perché ogni fatica è da loro chiamata tirannia, oppressione - perché non sanno che cosa sia consacrare otto o dieci ore al giorno ad un lavoro assiduo, serio, proficuo alla società - perché vogliono vivere senza affetti in un ambiente saturo di miasmi dove si respira male - perché disprezzano la donna e la famiglia - perché non credono al vincolo dell'amore e dell'amicizia - perché consumano i polmoni sulle sudate carte... da gioco - perchè attraverso i vapori del cognac e dell'absinth, a cui domandano l'oblio, vedono gli omini e le cose di color verdastro - perché il loro spirito, sempre irrequieto, non ha un indirizzo, il loro cuore corrotto non ha una fede, la loro via quasi nomade non ha una meta - perché essi assaporano a sorsi a sorsi tutta la voluttà del sensualismo - perché visitano le sale anatomiche per cercare, nuovi Aristodemi, la colpa nelle viscere delle oneste fanciulle - violano i sepolcri per divorare novelle jene, gli avanzi verminosi di una disgraziata morta di tisi - perché infine, a vent'anni, pieni di forza, gioventù e d'ingegno, invece di rendersi utili alla patria, invocano paurosamente una morte violenta, non avendo il coraggio di affrontare le piccole peripezie della vita!
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Mio caro Giacinto, abbi ancora un po' di sofferenza. Nel prossimo numero ti parlerò di alcune stramberie di un mio zio a proposito del passato e del presente; e a queste, in altro numero, terrà dietro la conclusione, colla quale chiuderò finalmente queste mie cicalate, le quali hanno messo a dura prova la tua pazienza, quella dei miei lettori... e anche la mia!