Lucrezia Borgia
Enrico Costa
RIVISTA TEATRALE DI ACTOS
Si ha un bel dire, ma fra tutte le cose create, la cosa che più piace all'uomo è la donna!
Sarà bello il firmamento co' suoi milioni di becchi gas; sarà magnifico un tramonto autunnale; saranno opere meravigliose le piramidi d'Egitto e la Cupola del San Pietro, ma sono tutte cose che stanno al dissotto della creatura uscita dalle nostre costole!
Dal polo articolo al polo antartico, non è che un solo palpito, un solo desiderio, una sola speranza - la donna! Se domandi a un Fisico, la donna è la luce - se domandi a un Chimico, la donna è l'elemento che entra per nove decimi nella gloria e nella virtù, nell'ambizione e nel delitto.
Il Demonio sedusse la donna - la donna sedusse l'uomo - Dio si servì della donna per redimere il genere umano - e Satana si servì della donna per perderlo. Tra Satana e l'uomo sta dunque la donna; quindi, la donna è vicina al Diavolo, e l'uomo è vicino alla donna - conclusione: la donna ci diffende dal Diavolo, e il Diavolo porta via la donna prima dell'uomo! I tribunali moderni dicono: cercate la donna - i preti antichi dicevano: fuggitela!
Non vi ha essere che possa resistere alle lusinghe della donna; la donna è come la morte: batte alle porte della reggia e del tugurio per scuotere colla sua voce giovani e vecchi, sapienti e ignoranti, ricchi e poveri. La differenza è una sola: la donna li desta - la morte li fa dormire.
Vedete voi quel re, in preda al malumore? Esso si rinchiude nel suo gabinetto, perché vuol scrivere una lettera all'Imperatore del Brasile. Egli ha proibito l'accesso a chicchessia - pena la sua collera regale. Il confidente di camera si fa alla porta:
«Che c'è?!» Esclama vivamente il sovrano fissando due occhi stralunati sull'importuno. «Ho pur detto che Noi siamo occupati in affari di Stato! Che non possiamo dare udienza, neppure al nostro cristianissimo figlio!»
«Perdono, maestà! È qui fuori una bella donna che ...»
«Fatela entrar subito!!» dice il re cambiando tono, e deponendo la penna; e quando il confidente di camera volta le spalle, egli porta le mani al nodo della regale cravata e sorride, rimandando al giorno seguente la continuazione della lettera all'Imperatore. Ciò che non ha potuto fare il cristianissimo figlio del re, lo ha potuto la paganissima figlia di Eva!
L'uomo ha sempre avuto, ed avrà sempre un'innata debolezza per tutto ciò che è debole e quindi, per la donna; e quantunque finga di rimproverare a lei la fragilità e l'incostanza, pure la diffende sempre, né può soffrire che venga oltraggiata. La riabilitazione della donna è impresa tutta moderna, e risale al principio del nostro secolo. Mentre l'uomo, vicino alla donna, si diverte a rimproverarle la leggerezza, cerca di inalzarla quando ne è lontano. E da ciò, la manìa degli scrittori moderni, i quali si studiano di riabilitare, o di idealizzare le celebri scellerate. Semiramide, Cleopatra, Messalina e mille altre sono tutte brava gente. E quando tutte le prove mancassero per farle credere tali, vi è sempre una valida ragione che milita in favore di queste disgraziate - l'amor materno. «Una madre che ama i propri figli non può essere una cattiva donna!». Ciò può esser vero, ma gli entusiasti hanno voluto confondere l'istinto del bruto colla ragione dell'uomo, ed hanno dimenticato che le tigri e le vipere sono pure madri tenerissime! I drammaturghi in genere, dopo essersi accorti di aver svaligiato completamente la Storia delle celebrità virtuose, si videro costretti ad attaccarsi alle celebrità del vizio, ponendole sul palcoscenico, come altrettante Vestali, dopo averle sottoposte ad un lavacro nelle acque del fiume Lete.
Ed anche a Lucrezia Borgia toccò questa fortuna. E per vero dire non era troppo facile sottoporre al bucato questa bellissima donna, foglia di quella buona lana di Papa Alessandro VI e della cortigiana Venozia, e sorella di quel cattivo soggetto di Cesare detto il Valentino. Quantunque la Borgia avesse le indulgenze in casa, non seppe troppo valersene, perché la cronaca cittadina non fu troppo indulgente coll'incestuosa matrona!
Carissimi lettori, non crediate che io voglia condannare la Borgia; il cielo me ne scampi! Voglio anzi esternarvi in proposito un mio parere. Dovete sapere che io, al di là dell'invenzione della Stampa e della Posta, credo a pochissime cose - e le credo per pura compiacenza! Io accetto col benefizio dell'inventario le santissime virtù di Susanna, di Lucrezia Romana e di Vittoria Colonna, le quali forse, fra i molti pregi, ebbero quello di essere e non parere; come colla tara accetto i vizi di Semiramide, di Cleopatra e Messalina, le quali forse, fra i molti diffetti, ebbero quello di parere e non essere. Insomma, io non credo ciecamente né alle virtù gigantesche né ai giganteschi vizi. Non vi è creatura intieramente buona, come non può esisterne alcuna intieramente cattiva. Nella storia antica e nel Medioevo si trovano: o sante o cortigiane, o lupi od agnelli, o tiranni o imbecilli; le mezze virtù non esistevano - il ceto di mezzo è un'invenzione tutta moderna; esso venne a galla quando crollò il feudalesimo.
Arrivato a questo punto il lettore domanderà meravigliato: che ha da fare questo brodo lungo coll'opera Lucrezia Borgia? Io rispondo subito: Carissimo lettore, sarò franco, lo scopo di questo brodo lungo è unicamente quello di acquistar tempo e spazio, perché Actos non sa che cosa dire di un'opera della quale si è tanto parlato in 43 anni ... Nell'ultimo numero della Stella si è scritto che Actos farebbe forse una rassegna teatrale; e quel forse mi si è posto attraverso la gola, come la spina di un pesce. Dunque io continuo come posso, per mantenere la mia parola; del resto siete padroni di credere ciò che volete!
Lucrezia Borgia era una gran colpevole - ciò non toglie che abbia avuto celebri difensori, fra i quali, se la memoria non m'inganna, l'Ariosto che ritiene la Borgia come una vittima, uno strumento della dissolutezza e dell'ambizione di un padre Papa, e di un fratello Cardinale - ambi morti miseramente, il primo di veleno e il secondo di pugnale.
E anche Vittor Hugo ha voluto idealizzare la Borgia in uno dei suoi drammi, dal quale Felice Romani ha tratto argomento per un libretto, ottimo per sceneggiatura, per condotta e per verso. Il Genio di Bergamo ha rivestito quelle scene e quei versi con una di quelle musiche che lui solo sapeva trovare, perché alla bellezza delle melodie sempre inspirate e spontanee, sapeva unire una ricca strumentazione che ha sempre ritratto con scrupolosa fedeltà le diverse situazioni e il carattere dei diversi personaggi del dramma.
La storia della musica della Lucrezia Borgia è troppo popolare perché io ne riporti i particolari. Rammenterò brevemente, che Mercadante aveva preso impegno di scrivere questo spartito che doveva rappresentarsi a giorno fisso al teatro La Scala nel carnevale del 1834; che Mercadante trascurò di scriverlo sperando un miglioramento a quella malattia d'occhi che lo tormentava; e che più tardi doveva privarlo della vista; che quaranta giorni prima del giorno stabilito, chiamò presso di sé, a Napoli, Donizzetti che si trovava a Milano, e lo pregò di scrivere per lui la Lucrezia; e che Donizzetti rispose con queste parole: accetto, ma ad un patto: che il libretto mi piaccia! Avete capito? Che il libretto mi piaccia, quando questo libretto era scritto da un poeta che si chiamava Felice Romani! Ciò valga a confermare quanto scrissi nella Rassegna della Forza del Destino a proposito dei libretti. Il fatto è questo: che dopo soli venticinque giorni la musica della Borgia era già pronta per le prime prove, e quando Mercadante ebbe a udirla esclamò colle lacrime agli occhi: è un capolavoro.
Sappiate, che colla Lucrezia Borgia il genio di Dinizzetti spiccò più ardito il volo; che quest'opera fu preceduta dal Torquato Tasso, e seguita dalla Gemma, dalla Lucia, dalla Favorita e dalla Linda.
Chi potrebbe mai enumerare tutte le bellezze della Lucrezia Borgia? Certamente non troverete in essa grandi e inaspettati colpi di scena, né colpi di gran cassa; ma in compenso avrete ricchezza di fantasia, sapiente criterio, melodie fresche, e uno strumentale colorito ed elegante. Come è ben trovato il canto col quale i compagni di Gennaro insultano la Borgia nel primo atto! Com'è caratteristica la scena drammatica fra Lucrezia e il Duca Alfonso,e poi con Gennaro. In quelle scene si recita e si canta allo stesso tempo. E si osa parlare di una nuova musica dell'avvenire in cui la melodia è quasi bandita per dar luogo alla parola! Se Wagner trovasse una mezza dozzina di tali melodie abiurerebbe alla sua famosa scuola!
Donizzetti scolpisce; ogni sua nota è studiata. Bastano talvolta poche battute, un solo accordo per caratterizzare una situazione, per spiegare un pensiero. Osservate, per esempio, le parole che rivolge il Duca Alfonso al suo fido Rustighello: né desìo ti tenti dell'aureo vaso: vin dei Borgia è desso! Sotto quel vin dei Borgia vi sono alcuni accordi i quali ti dicono ciò che la parola ti ha celato. E la festa nel palazzo della Negroni? Diresti che nell'allegria dei convitati sia qualche cosa di triste! È una gioia mesta che ha del mistero. Tu senti in quella geniale società la presenza del perfido spagnuolo!
Lo spartito della Lucrezia Borgia è semplice perché è bello. È quella bellezza pura che innamora, senza aver bisogno della toeletta francese. La Borgia, modestamente, fa il giro di tutti i teatri - essa non sdegna come certe altre opere, di visitare le piccole città di provincia, col superbo pretesto di non poter vivere in un angusto palcoscenico. Questo bisogno di grandi vasi lo capisco in certe opere, in altre no - il bello e il buono devono entrare dappertutto, né possono essere esclusivo patrimonio delle sole capitali - lo scopo del teatro è uno solo - si tratti di prosa o di musica; e quando uno spettacolo rifiuta i piccoli teatri per non voler rinunziare al lusso della scena, novantanove su cento rassomiglia a quelle donne che sdegnano gli abiti corti per paura di mostrare le gambe storte!
Mi sono dilungato troppo, ed è ormai tempo che io la finisca, scrivendo poche parole sull'esecuzione della Lucrezia Borgia al nostro teatro.
Se io dicessi: «la Borgia è ben rappresenta nel nostro piccolo teatro» il pubblico riderebbe di me, perché direi cose da non credersi. Gli stessi artisti, e lo stesso impresario (che è un buon artista), non devono mai credere che lo spettacolo cammini bene - la loro credenza ucciderebbe il loro talento artistico. Dunque? Dunque la Borgia la va come meglio può. Apprestata a tamburo battente, dopo la caduta del Don Procopio, è miracolo se si regge in tal modo. Dopo le prime tre sere, nelle quali la Borgia manteneva il suo vero carattere storico, perché era una cattiva Borgia, notai nell'opera un sensibile miglioramento; pure non lascio di dire col famoso medico della Forza del Destino: «la palla che ha nel petto mi spaventa!». E la palla è appunto l'assoluta mancanza d'intuito drammatico in tutti gli attori in generale. Non si offenda alcuno, perché parlo a tutti. La Lucrezia Borgia non è sentita da alcuno - si fanno le note musicali, ma non si trae partito da cento situazioni, in cui l'artista ha campo di mostrare la sua intelligenza drammatica. Si fa tutto all'ingrosso, trascurando quelle movenze e quell'accentazione, sulle quali Donizzetti ha certamente molto calcolato. Vi è spostamento generale. La Lucrezia Borgia non è scritta per le sole orecchie, e tornerebbe vana la massima di quel marchese spagnuolo che in teatro diceva: «Perché guardate gli artisti? L'estetica è nulla! La vera musica si gusta sdraiati nel palco, dando le spalle al palcoscenico e chiudendo gli occhi per farne con comodo la digestione!».
Tutto sommato, i primi onori (onori relativi!) spettano alla Ida Giovana (Lucrezia) la quale sa farsi applaudire dal pubblico, perché canta sempre con anima e pone molto impegno nell'azione drammatica. Il basso Campello (Don Alfonso) che ha dinanzi a sé un brillante avvenire, costretto a presentarsi immaturo sulle scene, non si ebbe dal pubblico gli stessi onori ricevuti nell'opera la Forza del Destino; e per dir vero, il Campello ha bisogno di studiare la parte del Duca Alfonso, dalla quale un artista può ritrarre moltissimo effetto. La Silini (Maffio Orsini) è un simpatico giovinotto che canta con molta grazia; egli sa per prova il segreto per esser felici, e l'insegna agli amici, i quali finiscono per persuadersi che la gioia dei profani è un fumo passeggier! Via, signorina Silini, non si sdegni con me! La Lucrezia Borgia sarà un'opera di studio, ma il sopportare le persone moleste è un'opera di misericordia; mi sopporti dunque con pazienza - le accerto che non sono pesante! Studi sempre, e non potrà mancarle il plauso del pubblico a cui è molto simpatica. Lo stesso devo dire al tenore Lorenzini, ottimo giovine pieno di buon volere e ricco di bella voce, ma che ha bisogno di quello studio che è lo specifico per farsi strada. Procuri di vincere la sua soverchia timidezza; nella Lucrezia Borgia, per esempio, è troppo freddo, e mi pare talvolta d'aver a fare più con gennaio, che con Gennaro. Bene Gubetta e le altre parti secondarie - discreti i cori - l'orchestra, così, così! - il vestiario decentissimo.
In quanto alla messa in scena è meglio non parlarne. Le due cose che più colpiscono sono: il palazzo Borgia che pare un'osteria colla rispettiva insegna buon vino e buon ristoro; e gli sgherri di Lucrezia Borgia, i quali si riducono a due fanciulli pastori, capaci con un solo sguardo di frenare la giusta rabbia di sei invitati che hanno sullo stomaco un'oncia di bleu di Prussia!
Conchiudendo dirò, che forse avrei poco da lamentarmi dei singoli artisti, presi separatamente; in quanto poi al complesso della Lucrezia Borgia eccovi il mio parere:
Nel secondo atto dell'opera, Gennaro cancella colla spada la lettera B dall'insegna del palazzo dove c'è scritto: BORGIA, e grida agli amici: leggete adesso: ORGIA. Io, colla penna, non esiterei un solo istante a cancellare invece una R e un G dal manifesto del teatro, e griderei al pubblico: leggete adesso:
LUCREZIA BOIA!
E forse lo scherzo mi costerebbe assai caro, perché il Duca impresario mi farebbe bevere il veleno del vaso d'oro, per non aver seguito la sua bandiera!
Tenendo fermo questo mio parere, non lascio però di dire che l'Impresa potrebbe rifarsi nelle opere future. Avendo un buon Capitale artistico non gli sarà difficile dare agli abbonati un buon divedendo pubblico!
Si ha un bel dire, ma fra tutte le cose create, la cosa che più piace all'uomo è la donna!
Sarà bello il firmamento co' suoi milioni di becchi gas; sarà magnifico un tramonto autunnale; saranno opere meravigliose le piramidi d'Egitto e la Cupola del San Pietro, ma sono tutte cose che stanno al dissotto della creatura uscita dalle nostre costole!
Dal polo articolo al polo antartico, non è che un solo palpito, un solo desiderio, una sola speranza - la donna! Se domandi a un Fisico, la donna è la luce - se domandi a un Chimico, la donna è l'elemento che entra per nove decimi nella gloria e nella virtù, nell'ambizione e nel delitto.
Il Demonio sedusse la donna - la donna sedusse l'uomo - Dio si servì della donna per redimere il genere umano - e Satana si servì della donna per perderlo. Tra Satana e l'uomo sta dunque la donna; quindi, la donna è vicina al Diavolo, e l'uomo è vicino alla donna - conclusione: la donna ci diffende dal Diavolo, e il Diavolo porta via la donna prima dell'uomo! I tribunali moderni dicono: cercate la donna - i preti antichi dicevano: fuggitela!
Non vi ha essere che possa resistere alle lusinghe della donna; la donna è come la morte: batte alle porte della reggia e del tugurio per scuotere colla sua voce giovani e vecchi, sapienti e ignoranti, ricchi e poveri. La differenza è una sola: la donna li desta - la morte li fa dormire.
Vedete voi quel re, in preda al malumore? Esso si rinchiude nel suo gabinetto, perché vuol scrivere una lettera all'Imperatore del Brasile. Egli ha proibito l'accesso a chicchessia - pena la sua collera regale. Il confidente di camera si fa alla porta:
«Che c'è?!» Esclama vivamente il sovrano fissando due occhi stralunati sull'importuno. «Ho pur detto che Noi siamo occupati in affari di Stato! Che non possiamo dare udienza, neppure al nostro cristianissimo figlio!»
«Perdono, maestà! È qui fuori una bella donna che ...»
«Fatela entrar subito!!» dice il re cambiando tono, e deponendo la penna; e quando il confidente di camera volta le spalle, egli porta le mani al nodo della regale cravata e sorride, rimandando al giorno seguente la continuazione della lettera all'Imperatore. Ciò che non ha potuto fare il cristianissimo figlio del re, lo ha potuto la paganissima figlia di Eva!
L'uomo ha sempre avuto, ed avrà sempre un'innata debolezza per tutto ciò che è debole e quindi, per la donna; e quantunque finga di rimproverare a lei la fragilità e l'incostanza, pure la diffende sempre, né può soffrire che venga oltraggiata. La riabilitazione della donna è impresa tutta moderna, e risale al principio del nostro secolo. Mentre l'uomo, vicino alla donna, si diverte a rimproverarle la leggerezza, cerca di inalzarla quando ne è lontano. E da ciò, la manìa degli scrittori moderni, i quali si studiano di riabilitare, o di idealizzare le celebri scellerate. Semiramide, Cleopatra, Messalina e mille altre sono tutte brava gente. E quando tutte le prove mancassero per farle credere tali, vi è sempre una valida ragione che milita in favore di queste disgraziate - l'amor materno. «Una madre che ama i propri figli non può essere una cattiva donna!». Ciò può esser vero, ma gli entusiasti hanno voluto confondere l'istinto del bruto colla ragione dell'uomo, ed hanno dimenticato che le tigri e le vipere sono pure madri tenerissime! I drammaturghi in genere, dopo essersi accorti di aver svaligiato completamente la Storia delle celebrità virtuose, si videro costretti ad attaccarsi alle celebrità del vizio, ponendole sul palcoscenico, come altrettante Vestali, dopo averle sottoposte ad un lavacro nelle acque del fiume Lete.
Ed anche a Lucrezia Borgia toccò questa fortuna. E per vero dire non era troppo facile sottoporre al bucato questa bellissima donna, foglia di quella buona lana di Papa Alessandro VI e della cortigiana Venozia, e sorella di quel cattivo soggetto di Cesare detto il Valentino. Quantunque la Borgia avesse le indulgenze in casa, non seppe troppo valersene, perché la cronaca cittadina non fu troppo indulgente coll'incestuosa matrona!
Carissimi lettori, non crediate che io voglia condannare la Borgia; il cielo me ne scampi! Voglio anzi esternarvi in proposito un mio parere. Dovete sapere che io, al di là dell'invenzione della Stampa e della Posta, credo a pochissime cose - e le credo per pura compiacenza! Io accetto col benefizio dell'inventario le santissime virtù di Susanna, di Lucrezia Romana e di Vittoria Colonna, le quali forse, fra i molti pregi, ebbero quello di essere e non parere; come colla tara accetto i vizi di Semiramide, di Cleopatra e Messalina, le quali forse, fra i molti diffetti, ebbero quello di parere e non essere. Insomma, io non credo ciecamente né alle virtù gigantesche né ai giganteschi vizi. Non vi è creatura intieramente buona, come non può esisterne alcuna intieramente cattiva. Nella storia antica e nel Medioevo si trovano: o sante o cortigiane, o lupi od agnelli, o tiranni o imbecilli; le mezze virtù non esistevano - il ceto di mezzo è un'invenzione tutta moderna; esso venne a galla quando crollò il feudalesimo.
Arrivato a questo punto il lettore domanderà meravigliato: che ha da fare questo brodo lungo coll'opera Lucrezia Borgia? Io rispondo subito: Carissimo lettore, sarò franco, lo scopo di questo brodo lungo è unicamente quello di acquistar tempo e spazio, perché Actos non sa che cosa dire di un'opera della quale si è tanto parlato in 43 anni ... Nell'ultimo numero della Stella si è scritto che Actos farebbe forse una rassegna teatrale; e quel forse mi si è posto attraverso la gola, come la spina di un pesce. Dunque io continuo come posso, per mantenere la mia parola; del resto siete padroni di credere ciò che volete!
Lucrezia Borgia era una gran colpevole - ciò non toglie che abbia avuto celebri difensori, fra i quali, se la memoria non m'inganna, l'Ariosto che ritiene la Borgia come una vittima, uno strumento della dissolutezza e dell'ambizione di un padre Papa, e di un fratello Cardinale - ambi morti miseramente, il primo di veleno e il secondo di pugnale.
E anche Vittor Hugo ha voluto idealizzare la Borgia in uno dei suoi drammi, dal quale Felice Romani ha tratto argomento per un libretto, ottimo per sceneggiatura, per condotta e per verso. Il Genio di Bergamo ha rivestito quelle scene e quei versi con una di quelle musiche che lui solo sapeva trovare, perché alla bellezza delle melodie sempre inspirate e spontanee, sapeva unire una ricca strumentazione che ha sempre ritratto con scrupolosa fedeltà le diverse situazioni e il carattere dei diversi personaggi del dramma.
La storia della musica della Lucrezia Borgia è troppo popolare perché io ne riporti i particolari. Rammenterò brevemente, che Mercadante aveva preso impegno di scrivere questo spartito che doveva rappresentarsi a giorno fisso al teatro La Scala nel carnevale del 1834; che Mercadante trascurò di scriverlo sperando un miglioramento a quella malattia d'occhi che lo tormentava; e che più tardi doveva privarlo della vista; che quaranta giorni prima del giorno stabilito, chiamò presso di sé, a Napoli, Donizzetti che si trovava a Milano, e lo pregò di scrivere per lui la Lucrezia; e che Donizzetti rispose con queste parole: accetto, ma ad un patto: che il libretto mi piaccia! Avete capito? Che il libretto mi piaccia, quando questo libretto era scritto da un poeta che si chiamava Felice Romani! Ciò valga a confermare quanto scrissi nella Rassegna della Forza del Destino a proposito dei libretti. Il fatto è questo: che dopo soli venticinque giorni la musica della Borgia era già pronta per le prime prove, e quando Mercadante ebbe a udirla esclamò colle lacrime agli occhi: è un capolavoro.
Sappiate, che colla Lucrezia Borgia il genio di Dinizzetti spiccò più ardito il volo; che quest'opera fu preceduta dal Torquato Tasso, e seguita dalla Gemma, dalla Lucia, dalla Favorita e dalla Linda.
Chi potrebbe mai enumerare tutte le bellezze della Lucrezia Borgia? Certamente non troverete in essa grandi e inaspettati colpi di scena, né colpi di gran cassa; ma in compenso avrete ricchezza di fantasia, sapiente criterio, melodie fresche, e uno strumentale colorito ed elegante. Come è ben trovato il canto col quale i compagni di Gennaro insultano la Borgia nel primo atto! Com'è caratteristica la scena drammatica fra Lucrezia e il Duca Alfonso,e poi con Gennaro. In quelle scene si recita e si canta allo stesso tempo. E si osa parlare di una nuova musica dell'avvenire in cui la melodia è quasi bandita per dar luogo alla parola! Se Wagner trovasse una mezza dozzina di tali melodie abiurerebbe alla sua famosa scuola!
Donizzetti scolpisce; ogni sua nota è studiata. Bastano talvolta poche battute, un solo accordo per caratterizzare una situazione, per spiegare un pensiero. Osservate, per esempio, le parole che rivolge il Duca Alfonso al suo fido Rustighello: né desìo ti tenti dell'aureo vaso: vin dei Borgia è desso! Sotto quel vin dei Borgia vi sono alcuni accordi i quali ti dicono ciò che la parola ti ha celato. E la festa nel palazzo della Negroni? Diresti che nell'allegria dei convitati sia qualche cosa di triste! È una gioia mesta che ha del mistero. Tu senti in quella geniale società la presenza del perfido spagnuolo!
Lo spartito della Lucrezia Borgia è semplice perché è bello. È quella bellezza pura che innamora, senza aver bisogno della toeletta francese. La Borgia, modestamente, fa il giro di tutti i teatri - essa non sdegna come certe altre opere, di visitare le piccole città di provincia, col superbo pretesto di non poter vivere in un angusto palcoscenico. Questo bisogno di grandi vasi lo capisco in certe opere, in altre no - il bello e il buono devono entrare dappertutto, né possono essere esclusivo patrimonio delle sole capitali - lo scopo del teatro è uno solo - si tratti di prosa o di musica; e quando uno spettacolo rifiuta i piccoli teatri per non voler rinunziare al lusso della scena, novantanove su cento rassomiglia a quelle donne che sdegnano gli abiti corti per paura di mostrare le gambe storte!
Mi sono dilungato troppo, ed è ormai tempo che io la finisca, scrivendo poche parole sull'esecuzione della Lucrezia Borgia al nostro teatro.
Se io dicessi: «la Borgia è ben rappresenta nel nostro piccolo teatro» il pubblico riderebbe di me, perché direi cose da non credersi. Gli stessi artisti, e lo stesso impresario (che è un buon artista), non devono mai credere che lo spettacolo cammini bene - la loro credenza ucciderebbe il loro talento artistico. Dunque? Dunque la Borgia la va come meglio può. Apprestata a tamburo battente, dopo la caduta del Don Procopio, è miracolo se si regge in tal modo. Dopo le prime tre sere, nelle quali la Borgia manteneva il suo vero carattere storico, perché era una cattiva Borgia, notai nell'opera un sensibile miglioramento; pure non lascio di dire col famoso medico della Forza del Destino: «la palla che ha nel petto mi spaventa!». E la palla è appunto l'assoluta mancanza d'intuito drammatico in tutti gli attori in generale. Non si offenda alcuno, perché parlo a tutti. La Lucrezia Borgia non è sentita da alcuno - si fanno le note musicali, ma non si trae partito da cento situazioni, in cui l'artista ha campo di mostrare la sua intelligenza drammatica. Si fa tutto all'ingrosso, trascurando quelle movenze e quell'accentazione, sulle quali Donizzetti ha certamente molto calcolato. Vi è spostamento generale. La Lucrezia Borgia non è scritta per le sole orecchie, e tornerebbe vana la massima di quel marchese spagnuolo che in teatro diceva: «Perché guardate gli artisti? L'estetica è nulla! La vera musica si gusta sdraiati nel palco, dando le spalle al palcoscenico e chiudendo gli occhi per farne con comodo la digestione!».
Tutto sommato, i primi onori (onori relativi!) spettano alla Ida Giovana (Lucrezia) la quale sa farsi applaudire dal pubblico, perché canta sempre con anima e pone molto impegno nell'azione drammatica. Il basso Campello (Don Alfonso) che ha dinanzi a sé un brillante avvenire, costretto a presentarsi immaturo sulle scene, non si ebbe dal pubblico gli stessi onori ricevuti nell'opera la Forza del Destino; e per dir vero, il Campello ha bisogno di studiare la parte del Duca Alfonso, dalla quale un artista può ritrarre moltissimo effetto. La Silini (Maffio Orsini) è un simpatico giovinotto che canta con molta grazia; egli sa per prova il segreto per esser felici, e l'insegna agli amici, i quali finiscono per persuadersi che la gioia dei profani è un fumo passeggier! Via, signorina Silini, non si sdegni con me! La Lucrezia Borgia sarà un'opera di studio, ma il sopportare le persone moleste è un'opera di misericordia; mi sopporti dunque con pazienza - le accerto che non sono pesante! Studi sempre, e non potrà mancarle il plauso del pubblico a cui è molto simpatica. Lo stesso devo dire al tenore Lorenzini, ottimo giovine pieno di buon volere e ricco di bella voce, ma che ha bisogno di quello studio che è lo specifico per farsi strada. Procuri di vincere la sua soverchia timidezza; nella Lucrezia Borgia, per esempio, è troppo freddo, e mi pare talvolta d'aver a fare più con gennaio, che con Gennaro. Bene Gubetta e le altre parti secondarie - discreti i cori - l'orchestra, così, così! - il vestiario decentissimo.
In quanto alla messa in scena è meglio non parlarne. Le due cose che più colpiscono sono: il palazzo Borgia che pare un'osteria colla rispettiva insegna buon vino e buon ristoro; e gli sgherri di Lucrezia Borgia, i quali si riducono a due fanciulli pastori, capaci con un solo sguardo di frenare la giusta rabbia di sei invitati che hanno sullo stomaco un'oncia di bleu di Prussia!
Conchiudendo dirò, che forse avrei poco da lamentarmi dei singoli artisti, presi separatamente; in quanto poi al complesso della Lucrezia Borgia eccovi il mio parere:
Nel secondo atto dell'opera, Gennaro cancella colla spada la lettera B dall'insegna del palazzo dove c'è scritto: BORGIA, e grida agli amici: leggete adesso: ORGIA. Io, colla penna, non esiterei un solo istante a cancellare invece una R e un G dal manifesto del teatro, e griderei al pubblico: leggete adesso:
LUCREZIA BOIA!
E forse lo scherzo mi costerebbe assai caro, perché il Duca impresario mi farebbe bevere il veleno del vaso d'oro, per non aver seguito la sua bandiera!
Tenendo fermo questo mio parere, non lascio però di dire che l'Impresa potrebbe rifarsi nelle opere future. Avendo un buon Capitale artistico non gli sarà difficile dare agli abbonati un buon divedendo pubblico!