A Nina
Sulla sponda fiorita
D'un limpido ruscello, appiè d'un colle,
Una pianta, romita,
I suoi poveri dì trascorrer volle.
I fiori di quel calle
La nomarono il giglio de la valle.
Il sole ogni mattina,
Nell'affacciarsi al limpido orizzonte,
Gli assorbiva la brina
E lo baciava con trasporto in fronte;
E a sera, nell'oblìo,
Nel dipartirsi gli diceva: addio!
Quel giglio seducente
In seno al zefiretto si cullava
Melanconicamente,
E l'onda al piè d'amor gli favellava.
Colà, sulla pendice,
Ei vivea solitario, e pur felice.
Ma errando, in sulla sera,
Una bianca farfalla pellegrina,
Piegò l'ala leggera
Verso la zolla, appiè della collina,
E veduto il bel fiore
Così esclamò nell'estasi d'amore:
« - Oh, sei pur bello e puro!
«Per campi e per colline svolazzai,
«Ma, come te, lo giuro,
«Un fiore più gentil non vidi mai!...
«Sì, vagheggiarti io bramo
«Perché sei bello, sei modesto e... t'amo!
«Ma perché stai soletto
«E di mistero la beltà circondi?
«Perché vivi negletto
«Nel calle solitario, e ti nascondi?
«Dimmi, povero fiore,
«E vivere puoi tu senza l'amore?»
Da un fremito fu colta
La corolla del giglio a tai parole;
E, per la prima volta,
Ei non s'avvide che il morente sole,
Calando dietro al monte,
Lo salutava con un bacio in fronte!
La farfalla era bella;
Avea le alucce di velluto e d'oro,
E ne la sua favella
Di grazia e d'armonia v'era un tesoro.
Si commosse quel fiore
E confidò all'insetto il primo amore.
Quando il sole ogni sera
Le cime delle acacie illuminava,
La bella messaggera
Appiè de la collina si recava;
Ed il giglio, felice,
D'amor solo vivea su la pendice.
Del placidetto rio
Più non curava il bacio e la carezza,
E avea posto in oblìo
Anco il sospir della notturna brezza;
Per lui tutto il creato
Era compreso nell'oggetto amato.
La moll'aura percossa
Dall'ala tremolante dell'insetto,
Pel giglio avea la possa
Del placido sospir del zefiretto;
E invocava per brina
Il bacio dell'alata pellegrina.
Ma ogni bene è fugace
Qui sulla terra - e per i fiori ancora,
Dopo il gaudio e la pace,
Giunge, pur troppo, degli affanni l'ora!
Per la pianta romita,
Ahi, fur brevi le gioie della vita!
Un dì, come all'usato,
Attese lungamente il suo diletto;
Scorse il tempo segnato
Ma non comparve il seducente insetto...
Ed il sol tramontava,
E le acacie del colle illuminava!
Nell'ansia più crudele
Passò la notte, ed anco il giorno appresso;
Ma non venne il fedele
A posarsi sul calice dimesso;
Cadea dal ciel la brina,
Ma il fior languiva appiè della collina.
Bella sorgeva intanto
L'alba del terzo dì. Quel fior, consunto,
Parea chiedesse in pianto:
« - Ditemi, o colli: il mio diletto è giunto? -»
« - È giunto ? - » ripetea
L'eco, lontan lontano... e poi tacea...
Ma perché, di repente,
Drizza quel giglio il calice tremante?...
No, non s'inganna - ei sente
Venir la sua farfalla... oh dolce istante!
È lontana... s'appressa...
Sormonta il colle... Non s'inganna... è dessa
« - Vieni, o sposo diletto;
«Riposati su me, se stanco sei!
«Son tre dì che t'aspetto
«E che soffro! - tradita io mi credei.
«Deh, non lasciarmi mai:
«Se mi lasci così, mi ucciderai!! - »
Così disse il bel fiore;
Ma il volubile insetto variopinto,
Stanco del primo amore,
Calò sulla corolla d'un giacinto,
Là, sul calle fiorito,
Dove un candido giglio avea tradito.
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il dì cadea. La mesta
Aura seral, con flebile lamento,
Scuotea, ma invan, la testa
D'un giglio moribondo... In quel momento
Il sol che tramontava
Le cime delle acacie illuminava!...
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Manca sul colle un giglio,
Ma niun lo piange... e ride la natura!...
E a che bagnare il ciglio?
Vi sono tanti fior!... chi mai li cura?
Il fato li destina
A vivere d'oblìo su la collina...
***
Nina, tu sei gentile;
Sei un giglio di candore e di bellezza,
E ti sorride aprile
Nel fiorito sentier di giovinezza.
Deh, giammai non oblìa
L'arcano senso de la storia mia...
Tu non fidare il core
Al bruco alato da' color mendaci
Che va di fiore in fiore
Ad offrir la sua fede e a chieder baci!
Fuggi ognor le farfalle
E ricordati il giglio de la valle!