La Sardegna giudicata da un giornale di Mantova
Enrico Costa
Altra volta fu un giornale di Sicilia, oggi è un giornale di Mantova, che, col mezzo di un suo corrispondente di Cagliari, si prende la briga di fare una descrizione di nostri costumi ... barbari. Il fatto è, che da qualche tempo a questa parte ce ne dicono di tutti i colori. Come per la musica, così anche per noi sorge una seconda maniera ... d'essere giudicati - alla prima maniera, creata da La Marmora, Valery, Bresciani, fu dato l'ostracismo!
Il dottor Corbetta, nel suo recente libro che ha voluto poco modestamente intitolare: Sardegna e Corsica, ne dice di grosse sul conto nostro. Egli parla di usi e costumi che da noi non esistono ... e non hanno mai esistito; parla dei nostri cavalli succhiati continuamente dalle mosche cavalline, i quali cavalli sono fortunati quando possono avere un pugno di carrube; parla di una lotta a pedate che noi ignoriamo; parla di capanne di giunco dove vivono colle loro famiglie i venditori di aranci; trova in Sardegna, con nostra meraviglia, i cigni e i fagiani; trova i cinghiali con le zanne che non sortono dal labbro; parla dei sardi che mangiano indifferentemente i vermi; non trova un libraio a Sassari; vede nella nostra città contadini a cavallo, riuniti in squadroni, armati fino ai denti, portare i viveri al mercato, come se andassero all'assalto di una fortezza; e via di questo passo che è un piacere! Il libro però del signor Corbetta è scritto in buonissima fede, e noi dobbiamo essergli grati, almeno per le buone intenzioni che ha avuto nello scriverlo. Da altra parte la prefazione del libro fa perdonare l'autore ... e forse troppo perdonare!
L'autore infatti dice, che deve questo lavoro di qualche lena, alle dolci insistenze degli amici; dice che le sue sono descrizioni ed osservazioni abborracciate a casaccio nei pochi momenti di riposo che il viaggiare in Sardegna permette - sono notizie raccolte quà e là, o da compiacenti amici e conoscenti, o in pubblicazioni varie all'uopo compulsate - genuine impressioni ricevute sui luoghi visitati con quel poco spirito d'osservazione di chi, senza studi speciali, ama vedere e rendersi contezza alla meglio di regioni sì poco conosciute e percorse dagli stranieri ed anche dagl'italiani. Vi troverete (egli dice) deduzioni e giudizi spesso crudi, forse diversi da quelli d'altri, ma se non altro hanno il merito di essere originali ...
La mi scusi, signor Corbetta; ma quando si scrive un libro di qualche lena per far conoscere agli stranieri, ed anche agl'italiani una terra che non conoscono, non si deve abborracciare a casaccio; né si devono inventare costumi pel solo merito di essere originali. Si tengono le memorie per sé e non si cerca di far gemere i torchi. Pur troppo però oggigiorno si fa tutto a tamburo battente ... Un tempo si affrontavano i disagi di un lungo viaggio e si studiava molto per fare l'esatta relazione di una terra inesplorata, oggigiorno invece si scrivono i viaggi ... senza viaggiare, con tutta comodità ed economia. È una storiella anche questa! Come direbbe Calcante.
Anche Paolo Mantegazza (dal quale il Corbetta ha molto attinto!) è stato qualche volta crudo con noi; ma dalle belle pagine del suo libro traspare un immenso amore per l'isola nostra; ed io dirò francamente, che mi parvero assai più crudi quei pochi sardi che hanno risposto acerbamente a quel simpatico scrittore, rimproverandolo per i suoi Profili e Paesaggi della Sardegna. Forse quella fu ingiustizia, scortesia, ingratitudine. Mantegazza ha potuto errare; ma doveva perdonarsi molto ... perché molto aveva amato. È questa la mia opinione e ve la espongo genuinamente ... come la sento.
Quando sentiamo sparlare della nostra patria, noi proviamo sempre un vivo dispiacere che non sappiamo padroneggiare; e ciò accade a tutti i popoli del mondo. È la questione di quelle madri amorose, le quali, quantunque siano persuase che i loro figli abbiano qualche diffetto, cercano di nasconderlo, e non soffrono che altri ne faccia loro rimprovero. Tutte le cose però devono avere un limite; e se prudenza vuole che dobbiamo tacere quando si esagerano i mali, dignità vuole che dobbiamo parlarne quando i mali si inventano. Ad ogni modo, tanto gli adulatori, quanto i maldicenti, sono sempre uggiosi; gli uni, ricchi d'ignoranza, criticando tutto, e tutto trovando brutto, ci assordano continuamente col loro da noi ... nel nostro paese ecc., gli altri invece, poveri di spirito, trovano tutto ottimo e magnifico; novelli Don Abbondio in faccia agli eccellentissimi bravi, essi lodano bassamente temendo di venir aggrediti, oppure sperando di procurarsi in paese quegli amici e quelle conoscenze di cui abbisognano. Il forestiero gentile ed educato non sparla mai del luogo che gli offre ospitalità; e se talvolta è costretto a darne un giudizio, lo dà con quella imparzialità e cortesia che non devono esser mai disgiunte in chi possiede un cuore ben fatto, un animo gentile e una mente elevata. Bisogna però che lo scrittore conosca un po' di storia del paese che vuole descrivere, e ciò perché possa farsi un giusto criterio ponendo a confronto i diversi usi e costumi, e studiandoli nelle condizioni politiche e finanziarie di un paese, nelle diverse forme di governi che lo hanno dominato, nella sua posizione geografica, nel suo clima, ecc. ecc., insomma rimontare alle cause di un male, farne l'analisi, e suggerire in ultimo i mezzi per estirparlo, o renderlo minore. Allora, si perdonano volentieri anche le esagerazioni, perché lo studio è fatto a benefizio del paese che si vuol far conoscere. Ma quando invece si scrive ... per scrivere, per far ridere gli amici lontani, per vendicarsi di qualche torto ricevuto, per sfogare la bile perché un locandiere vi ha presentato un conto più salato del solito, per far credere ai gonzi di non aver viaggiato come un baule, allora non si può che rispondere con un sorriso di compassione a questi poveri infelici, ignoranti quanto ineducati!
Mi accorgo però che le cartelle volano sotto la mia penna; e siccome le pagine della Stella sono numerate, vengo addiritura al famoso articolo del giornale mantovano, che io non voglio riportare per intiero; basteranno pochi brani perché possiate farvene un'idea:
«V'è mai successo, lettori miei cari, di ricevere una lettera dalla Nuova Zelanda, dall'Australia, o dalle Indie? ... No? ... Ebbene figuratevi di riceverla ora, non già per la distanza materiale che separa questa poverissima isola di Sardegna dal vostro paese, me bensì per quell'immensa distanza in linea di civiltà.
«E mi spiego: questo popolo differisce così essenzialmente in costumi, in maniere, in fisionomia, in linguaggio, in forme di vestire, in attitudini, da farne un popolo assolutamente a sé; un popolo che mi ha tutta l'aria di una generazione medioevale, lanciata, per errore, in pieno secolo XIX; ed infatti le idee che lo reggono, i riti che professa, le superstizioni che sovranamente lo dominano, sono tali e così svariate che un forastiero non ci si raccapezza, e domanda a sé stesso se vive nel secolo dei lumi a gaz e delle ferrovie; e passando col treno, nelle immense ed incolte campagne dell'isola, s'aspetta continuamente di veder uscire dalla casupole di fango e paglia di cui sono costrutti i villagi sardi, qualche tipo di una generazione scomparsa.
«La miseria, la fame, la febbre hanno tanto e siffattamente svisato questa gente, che li vedi aggirarsi tristi, melanconici, squallidi, smunti, incartapecoriti che ti si stringe il cuore a vederli.
«Voglio parlarvi di quell'interno che non è più barbaro e non è ancora civile, di quell'interno che pare una fiaba gettata nel positivismo generale della nostra Italia e del nostro secolo. A 20 minuti da Cagliari in un paese di 3000 abitanti non trovate un uovo ed un pane da levarvi la fame; non parliamo di caffè che sono allo stato di mito fra quelle popolazioni, che un mio amico onora senza cerimonia del titolo di beduini».
Per dare infine un'idea della miseria delle popolazioni sarde, il corrispondente pietoso racconta di un padre, che per sfamare la moglie ed i figli, tutti ammalati di febbre, uccide il proprio cane. Il proprio cane! ... Capite? ... In un'isola ricchissima di cacciagione, dove il cane è ritenuto dai contadini e dai pastori come il miglior amico della famiglia!
Questo fatto, raccontato al corrispondente da un carabiniere, termina con queste considerazioni:
«Vi sono intere e numerosissime famiglie che vivono enigmaticamente del prodotto di una decina di montoni; come fanno? Mistero! Come tutto è mistero in questa classica isola».
Ebbene? Che ne dite?
Io non mi curo del corrispondente. Un povero diavolo balestrato di punto in bianco in una terra straniera; lontano dalla mamma e dal parroco del suo paese; traslocato per punizione, o forse a domicilio coatto; senza amici, né conoscenti; senza soldi per procurarsi qualche comodità, è ben giusto che talvolta sfoghi la sua bile sparlando di una terra che può rimproverargli il suo peccato originale. Egli scrive col fiele tre o quattro cartelle ... le manda ad un amico giornalista ... e il resto va da sé.
Ma un Direttore di un accreditato giornale che ha molti anni di vita; un Direttore di un giornale serio, che dovrebbe conoscere, non dico quante siano le parti del mondo, non dico i diversi stati d'Europa, ma almeno le diverse provincie che compongono la nostra Italia, non può accettare ad occhi chiusi uno scritto - non dovrebbe pubblicarlo senza leggerlo - non dovrebbe leggerlo senza accorgersi che è falso. Due sole cose potrebbero dargli le attenuanti: o la sua completa ignoranza, o la sua complicità, pubblicando l'articolo per tener mano a qualche basso dispetto.
Ma non mi meraviglio del corrispondente, non voglio meravigliarmi del giornalista. Mi fa solo meraviglia e dolore il pensare, che, mentre l'Italia è oggigiorno inondata di libri che parlano della Spagna, dell'Olanda, del Marocco e dell'Australia; mentre la maggior parte dei periodici illustrati e senza illustrare non sanno offrirci altre descrizioni od incisioni che quelle del Giappone, della China o del Mississipì, non si voglia conoscere dagli italiani una loro terra che pure avrebbe diritto ad essere conosciuta, se non altro perché unita al Piemonte, alla Liguria ed alla Savoja componeva un tempo quei certi Stati Sardi a cui si deve l'unità e l'indipendenza italiana; mi fa solo meraviglia che dopo tanti e tanti libri scritti, dopo tante e tante inchieste praticate, non si conoscano ancora i veri usi, i veri costumi ed i veri bisogni dell'isola nostra!
Suvvia! Mettetevi d'accordo una buona volta! Fate almeno presentire, che gli italiani d'Italia non ignorano com'è fatta la terra degl'Italiani di Sardegna!
Chiudo con un'interrogazione che voglio fare a me stesso:
Se di una terra italiana, a due passi da Roma, i viaggiatori e i corrispondenti dicono tante corbellerie, quante se ne diranno mai nei libri sul Giappone, sulla Spagna, sull'Olanda e su Costantinopoli, coll'attuale sistema dei viaggi istantanei ed economici? C'è da scommettere che si finirà per non credere più né al pane di Spagna, né al formaggio di Olanda, né ai cani di Costantinopoli!
Il dottor Corbetta, nel suo recente libro che ha voluto poco modestamente intitolare: Sardegna e Corsica, ne dice di grosse sul conto nostro. Egli parla di usi e costumi che da noi non esistono ... e non hanno mai esistito; parla dei nostri cavalli succhiati continuamente dalle mosche cavalline, i quali cavalli sono fortunati quando possono avere un pugno di carrube; parla di una lotta a pedate che noi ignoriamo; parla di capanne di giunco dove vivono colle loro famiglie i venditori di aranci; trova in Sardegna, con nostra meraviglia, i cigni e i fagiani; trova i cinghiali con le zanne che non sortono dal labbro; parla dei sardi che mangiano indifferentemente i vermi; non trova un libraio a Sassari; vede nella nostra città contadini a cavallo, riuniti in squadroni, armati fino ai denti, portare i viveri al mercato, come se andassero all'assalto di una fortezza; e via di questo passo che è un piacere! Il libro però del signor Corbetta è scritto in buonissima fede, e noi dobbiamo essergli grati, almeno per le buone intenzioni che ha avuto nello scriverlo. Da altra parte la prefazione del libro fa perdonare l'autore ... e forse troppo perdonare!
L'autore infatti dice, che deve questo lavoro di qualche lena, alle dolci insistenze degli amici; dice che le sue sono descrizioni ed osservazioni abborracciate a casaccio nei pochi momenti di riposo che il viaggiare in Sardegna permette - sono notizie raccolte quà e là, o da compiacenti amici e conoscenti, o in pubblicazioni varie all'uopo compulsate - genuine impressioni ricevute sui luoghi visitati con quel poco spirito d'osservazione di chi, senza studi speciali, ama vedere e rendersi contezza alla meglio di regioni sì poco conosciute e percorse dagli stranieri ed anche dagl'italiani. Vi troverete (egli dice) deduzioni e giudizi spesso crudi, forse diversi da quelli d'altri, ma se non altro hanno il merito di essere originali ...
La mi scusi, signor Corbetta; ma quando si scrive un libro di qualche lena per far conoscere agli stranieri, ed anche agl'italiani una terra che non conoscono, non si deve abborracciare a casaccio; né si devono inventare costumi pel solo merito di essere originali. Si tengono le memorie per sé e non si cerca di far gemere i torchi. Pur troppo però oggigiorno si fa tutto a tamburo battente ... Un tempo si affrontavano i disagi di un lungo viaggio e si studiava molto per fare l'esatta relazione di una terra inesplorata, oggigiorno invece si scrivono i viaggi ... senza viaggiare, con tutta comodità ed economia. È una storiella anche questa! Come direbbe Calcante.
Anche Paolo Mantegazza (dal quale il Corbetta ha molto attinto!) è stato qualche volta crudo con noi; ma dalle belle pagine del suo libro traspare un immenso amore per l'isola nostra; ed io dirò francamente, che mi parvero assai più crudi quei pochi sardi che hanno risposto acerbamente a quel simpatico scrittore, rimproverandolo per i suoi Profili e Paesaggi della Sardegna. Forse quella fu ingiustizia, scortesia, ingratitudine. Mantegazza ha potuto errare; ma doveva perdonarsi molto ... perché molto aveva amato. È questa la mia opinione e ve la espongo genuinamente ... come la sento.
Quando sentiamo sparlare della nostra patria, noi proviamo sempre un vivo dispiacere che non sappiamo padroneggiare; e ciò accade a tutti i popoli del mondo. È la questione di quelle madri amorose, le quali, quantunque siano persuase che i loro figli abbiano qualche diffetto, cercano di nasconderlo, e non soffrono che altri ne faccia loro rimprovero. Tutte le cose però devono avere un limite; e se prudenza vuole che dobbiamo tacere quando si esagerano i mali, dignità vuole che dobbiamo parlarne quando i mali si inventano. Ad ogni modo, tanto gli adulatori, quanto i maldicenti, sono sempre uggiosi; gli uni, ricchi d'ignoranza, criticando tutto, e tutto trovando brutto, ci assordano continuamente col loro da noi ... nel nostro paese ecc., gli altri invece, poveri di spirito, trovano tutto ottimo e magnifico; novelli Don Abbondio in faccia agli eccellentissimi bravi, essi lodano bassamente temendo di venir aggrediti, oppure sperando di procurarsi in paese quegli amici e quelle conoscenze di cui abbisognano. Il forestiero gentile ed educato non sparla mai del luogo che gli offre ospitalità; e se talvolta è costretto a darne un giudizio, lo dà con quella imparzialità e cortesia che non devono esser mai disgiunte in chi possiede un cuore ben fatto, un animo gentile e una mente elevata. Bisogna però che lo scrittore conosca un po' di storia del paese che vuole descrivere, e ciò perché possa farsi un giusto criterio ponendo a confronto i diversi usi e costumi, e studiandoli nelle condizioni politiche e finanziarie di un paese, nelle diverse forme di governi che lo hanno dominato, nella sua posizione geografica, nel suo clima, ecc. ecc., insomma rimontare alle cause di un male, farne l'analisi, e suggerire in ultimo i mezzi per estirparlo, o renderlo minore. Allora, si perdonano volentieri anche le esagerazioni, perché lo studio è fatto a benefizio del paese che si vuol far conoscere. Ma quando invece si scrive ... per scrivere, per far ridere gli amici lontani, per vendicarsi di qualche torto ricevuto, per sfogare la bile perché un locandiere vi ha presentato un conto più salato del solito, per far credere ai gonzi di non aver viaggiato come un baule, allora non si può che rispondere con un sorriso di compassione a questi poveri infelici, ignoranti quanto ineducati!
Mi accorgo però che le cartelle volano sotto la mia penna; e siccome le pagine della Stella sono numerate, vengo addiritura al famoso articolo del giornale mantovano, che io non voglio riportare per intiero; basteranno pochi brani perché possiate farvene un'idea:
«V'è mai successo, lettori miei cari, di ricevere una lettera dalla Nuova Zelanda, dall'Australia, o dalle Indie? ... No? ... Ebbene figuratevi di riceverla ora, non già per la distanza materiale che separa questa poverissima isola di Sardegna dal vostro paese, me bensì per quell'immensa distanza in linea di civiltà.
«E mi spiego: questo popolo differisce così essenzialmente in costumi, in maniere, in fisionomia, in linguaggio, in forme di vestire, in attitudini, da farne un popolo assolutamente a sé; un popolo che mi ha tutta l'aria di una generazione medioevale, lanciata, per errore, in pieno secolo XIX; ed infatti le idee che lo reggono, i riti che professa, le superstizioni che sovranamente lo dominano, sono tali e così svariate che un forastiero non ci si raccapezza, e domanda a sé stesso se vive nel secolo dei lumi a gaz e delle ferrovie; e passando col treno, nelle immense ed incolte campagne dell'isola, s'aspetta continuamente di veder uscire dalla casupole di fango e paglia di cui sono costrutti i villagi sardi, qualche tipo di una generazione scomparsa.
«La miseria, la fame, la febbre hanno tanto e siffattamente svisato questa gente, che li vedi aggirarsi tristi, melanconici, squallidi, smunti, incartapecoriti che ti si stringe il cuore a vederli.
«Voglio parlarvi di quell'interno che non è più barbaro e non è ancora civile, di quell'interno che pare una fiaba gettata nel positivismo generale della nostra Italia e del nostro secolo. A 20 minuti da Cagliari in un paese di 3000 abitanti non trovate un uovo ed un pane da levarvi la fame; non parliamo di caffè che sono allo stato di mito fra quelle popolazioni, che un mio amico onora senza cerimonia del titolo di beduini».
Per dare infine un'idea della miseria delle popolazioni sarde, il corrispondente pietoso racconta di un padre, che per sfamare la moglie ed i figli, tutti ammalati di febbre, uccide il proprio cane. Il proprio cane! ... Capite? ... In un'isola ricchissima di cacciagione, dove il cane è ritenuto dai contadini e dai pastori come il miglior amico della famiglia!
Questo fatto, raccontato al corrispondente da un carabiniere, termina con queste considerazioni:
«Vi sono intere e numerosissime famiglie che vivono enigmaticamente del prodotto di una decina di montoni; come fanno? Mistero! Come tutto è mistero in questa classica isola».
Ebbene? Che ne dite?
Io non mi curo del corrispondente. Un povero diavolo balestrato di punto in bianco in una terra straniera; lontano dalla mamma e dal parroco del suo paese; traslocato per punizione, o forse a domicilio coatto; senza amici, né conoscenti; senza soldi per procurarsi qualche comodità, è ben giusto che talvolta sfoghi la sua bile sparlando di una terra che può rimproverargli il suo peccato originale. Egli scrive col fiele tre o quattro cartelle ... le manda ad un amico giornalista ... e il resto va da sé.
Ma un Direttore di un accreditato giornale che ha molti anni di vita; un Direttore di un giornale serio, che dovrebbe conoscere, non dico quante siano le parti del mondo, non dico i diversi stati d'Europa, ma almeno le diverse provincie che compongono la nostra Italia, non può accettare ad occhi chiusi uno scritto - non dovrebbe pubblicarlo senza leggerlo - non dovrebbe leggerlo senza accorgersi che è falso. Due sole cose potrebbero dargli le attenuanti: o la sua completa ignoranza, o la sua complicità, pubblicando l'articolo per tener mano a qualche basso dispetto.
Ma non mi meraviglio del corrispondente, non voglio meravigliarmi del giornalista. Mi fa solo meraviglia e dolore il pensare, che, mentre l'Italia è oggigiorno inondata di libri che parlano della Spagna, dell'Olanda, del Marocco e dell'Australia; mentre la maggior parte dei periodici illustrati e senza illustrare non sanno offrirci altre descrizioni od incisioni che quelle del Giappone, della China o del Mississipì, non si voglia conoscere dagli italiani una loro terra che pure avrebbe diritto ad essere conosciuta, se non altro perché unita al Piemonte, alla Liguria ed alla Savoja componeva un tempo quei certi Stati Sardi a cui si deve l'unità e l'indipendenza italiana; mi fa solo meraviglia che dopo tanti e tanti libri scritti, dopo tante e tante inchieste praticate, non si conoscano ancora i veri usi, i veri costumi ed i veri bisogni dell'isola nostra!
Suvvia! Mettetevi d'accordo una buona volta! Fate almeno presentire, che gli italiani d'Italia non ignorano com'è fatta la terra degl'Italiani di Sardegna!
Chiudo con un'interrogazione che voglio fare a me stesso:
Se di una terra italiana, a due passi da Roma, i viaggiatori e i corrispondenti dicono tante corbellerie, quante se ne diranno mai nei libri sul Giappone, sulla Spagna, sull'Olanda e su Costantinopoli, coll'attuale sistema dei viaggi istantanei ed economici? C'è da scommettere che si finirà per non credere più né al pane di Spagna, né al formaggio di Olanda, né ai cani di Costantinopoli!